L’Eco della fine…

Era naturale che se ne andasse, ma è stata comunque una perdita rilevante quella di Umberto Eco. E poi sono abituato a vedere gli uomini di questo spessore varcare la soglia dei Novanta. In ottobre mi trovavo a Parigi per il compleanno dell’amico e giornalista Andras Biro, tra gli ospiti il suo compagno di infanzia e di battaglia Edgar Morin. 90 anni Andras e 94 Morin. Forse Milano non è salubre come i luoghi d’Oltralpe, chissà. Fatto sta che con la fine di Eco ho perso il solo modello italiano che mi sia sempre dato. Ho cominciato dalla tesi di laurea, usando come un breviario il suo Diario minimo, una guida più efficace di tanti docenti inadeguati al ruolo loro conferito. Mi diede un nuovo metodo al quale mi sono attenuto per sempre, dedicando gli anni da allora ad oggi ad affinare il mio stile ma sulla scia indicata da lui. A parte Umberto Eco, avendo sempre tenuto autori stranieri a modello, non sono mai riuscito a riconoscermi in nessun altro. Questione di affinità, ovviamente, nulla di più.

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I due marò e le nozze indiane

Di pochi giorni fa la notizia di un matrimonio da Mille e una notte a Firenze. Una coppia di giovani indiani, figli di gente chissà come e perché ricca oltre ogni criterio di decenza, ha sperperato una cifra faraonica per il capriccio di sponsali maestosi nella bella cornice del capoluogo toscano. Ci si erano dati il primo bacio durante un viaggio precedente e lì hanno voluto suggellare.

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Generazione Erasmus: l’esempio dei giovani

Sul Corriere della Sera di oggi 26 novembre, a pagina 29 leggo un articolo di Orsola Riva che così intitola: “Italia ultima per numero di laureati”. I risultati del rapporto OCSE “Education at a guance” danno all’Italia l’ennesimo triste primato in una classifica che osserva i 34 paesi più industrializzati al mondo. E guardando al rapporto tra PIL e investimento nell’università, la situazione non è dissimile, ci collochiamo al quartultimo posto. L’articolo poi spiega che le nostre università sono ancora troppo legate a modelli di insegnamento troppo teorici e denuncia il ritardo dei nostri atenei in tema di organizzazione, specie guardando agli insufficienti livelli di stage e raccordi col mondo del lavoro. Ma il boccone amaro si manda a malapena giù quando si apprende che nonostante gli sforzi enormi sostenuti da chi comunque una laurea la persegue, i laureati hanno davanti un tasso di occupazione di un punto percentuale inferiore a quello dei diplomati (62% contro il 63%).

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Peppa a Cannunera

Sicily Spoon River è il titolo di una mia raccolta di liriche dedicate a personaggi siciliani ormai dimorati nell’aldilà. Possono essere eroi della lotta alla mafia, filosofi dell’antichità, protagonisti della storia locale e personaggi del volgo, tutti caratterizzati da un tono ilare, disincantato, ironico, tagliente a volte ma sempre distaccato ormai dalla realtà del mondo terreno. Seguendo l’ispirazione di Edgar Lee Master, si svolge così un percorso che restituisce dignità ad un popolo troppo spesso prono.
Su youtube lo Spoon River dedicato ad una figura eroica del Risorgimento isolano. Non a caso, una donna.
Al seguente link:

Charamsa? Preferisco Paolo Bonolis…

C’è qualcosa di plateale in “padre” Charamsa che non convince, come il suo sorriso. A oggi, mi risulta, uomini e donne con abito talare si astengono dal sesso, assorbiti esclusivamente dalla Devozione. La rivendicazione omosessuale è perciò un falso, chi se ne frega degli orientamenti sessuali di Charamsa? a tutti interessa invece la questione della coerenza al precetto che sacerdoti e suore rispettano: la castità. Se non si sente di affrontare la castità, si spogli come hanno fatto altri e la smetta di manipolare la questione della omofobia. Credo che lo farà ma prima vuole assicurarsi l’agio che gli verrà dalla vendita dell’ennesimo bestiario best seller: il libro dei fatti suoi.

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Oltre la Lingua… evocazioni de la Invincibile Armada

Non v’ha dubbio che la lingua sia cultura, giusto nel senso che la riflette, la esprime, la svela. Mi viene in mente mentre mi trovo alla fermata della metropolitana, a Madrid. L’orario è di quelli in cui trovi poca gente e non c’è niente da guardare, niente che attiri la tua attenzione se sei libero dalla fatalità del cellulare, si intende. Così lo sguardo si fissa sul tabellone:

4 minuti. Un’attesa breve, ma questa volta non sono neanche tentato di fare una delle solite ramanzine sulle incapacità organizzative italiane. Ovviamente controllo che il cartello dica la verità e seguo il tempo con il mio orologio. Finché il cartello cambia e mi sorprende al punto che dimentico di verificare l’esattezza:

Cosa c’è di tanto curioso? Semplicemente che qualcuno abbia elaborato questa frase. In tempi di sopraffazione a opera della sintesi, della brevità assoluta, della polverizzazione della curva dell’attenzione, del minimalismo critico, del disimpegno assoluto, della povertà linguistica, della balordaggine informatica, ecco che sul display della metropolitana madrilena qualcuno si concede il tempo/lusso di dire con enfasi ed eleganza che: le carrozze di cui si compone questo bel treno moderno, complete di guidatore e passeggeri, stanno facendo il loro ingresso in stazione!
Gli americani avrebbero liquidato la cosa con un semplice “Coming” o “Arriving” e pure noi italiani, ormai preda e prigionieri di chiunque lo desideri o gli necessiti, ormai incapaci di comprendere la differenza tra tolleranza e resa, tra identità e prepotenza,  noi stessi avremmo scritto “In arrivo”, (perciò mi riprometto di controllare le metropolitane di Roma e Milano).
Gli spagnoli, no, o, almeno, i madrileni, quelli della capitale. In ossequio a un passato glorioso che non rifiutano e che non ostentano – errori entrambi invece praticati con vanaglorioso successo in Italia e soprattutto dal meridione d’Italia – mantengono un piacere per quel concetto di abbondanza che tanto ha caratterizzato la loro identità da offrire al mondo il Barocco a perpetua memoria. Così, quando vi troverete a Madrid, in attesa della metro, non lasciatevi distrarre dalle inezie della contemporaneità e sentitevi importanti, non starete aspettando inutilmente, presto, prestissimo, in pochi minuti, dal buio del tunnel spunterà un glorioso treno, emulo delle galere spagnole della Invincibile Armada che annuncerà il suo trionfale ingresso in quel porto sotterraneo: va a effectuar su entrada en la estacion,  per portarvi a destinazione!

Del senso del brutto

Diamo per scontato che esista un senso del bello ed è pure scontata l’idea che tutti apprezzino la bellezza, salvo poi distinguere che tipo di bellezza si intenda. Non è così. Perché esiste un senso del brutto che spesso soppianta il fratellastro. Ma vanno fatti i dovuti distinguo. Il senso del bello si persegue, si cura, si costruisce, si arricchisce. Il senso del brutto si trova, lo si subisce, gli si obbedisce, si contribuisce ad estenderne il contagio.

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50 sfumature di mediocrità

Finalmente ho visto 50 Sfumature di grigio. Ho difficoltà a trovare un film altrettanto stupido e malfatto. Malfatto al punto di mostrare errori grossolani come nella sequenza del primo meeting dei due protagonisti nella stanza rossa dei giochi. Un tentativo non riuscito di climax rovinato dalla inettitudine del montaggio che non si avvede di riproporre Christian vestito dopo che si era spogliato e già inoltrato nell’intimità di Anastasia.
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Migranti: tra accoglienza e colonizzazione

Sugli sbarchi in Italia di clandestini, rifugiati, profughi e altri derelitti di questo mondo violento e iniquo, occorre fare un ulteriore chiarimento alla luce delle sollevazioni popolari che da nord a sud gridano la propria rabbia che è semplicistico definire xenofoba.
 
Sul piano umano non credo vi siano italiani, nemmeno i leghisti, che non siano in grado di comprendere la tragedia che incombe sulla stragrande maggioranza di queste persone che affrontano la traversata del Mediterraneo a rischio della vita propria e dei propri cari. Noi italiani siamo pieni di troppi difetti, ma restiamo gente di cuore.
L’aspetto su cui si dovrebbe compiere uno sforzo più organizzato ed efficiente, è quello dell’organizzazione. Allo stato attuale, si agisce sempre sulla scorta di un’emergenza che paradossalmente non è tale visto che dura ormai da dieci anni. Soprattutto, quel che appare discutibile, è il modo in cui tali soggetti vengono gestiti relativamente alla loro presenza sul nostro territorio. Sorvolo sulla vergogna dei centri di accoglienza tristemente nota, ma sottolineo la durezza miope dei trasferimenti coatti nei centri abitati di varie dimensioni. Astraendo dal contesto di cui parlo, se si guarda alle sole modalità organizzative, si assiste ad una replica di quelle operazioni di colonizzazione coatta dei territori conquistati o di radicazione della conquista che la storia offre generosamente. Ed è proprio questa modalità che suscita istintivamente la reazione delle comunità prescelte per gli insediamenti dei rifugiati. La consapevolezza, inoltre, che poi verranno abbandonati, sfruttati, e tollerati se devianti, induce una rabbia che esplode appunto nelle manifestazioni a cui assistiamo in questi giorni. D’altra parte è noto che est modus in rebus.
Le cose potrebbero essere diverse. Quello che a noi appare un esodo verso l’Italia, intanto, facendo riferimento ai numeri reali, si rivela una migrazione verso i paesi confinanti con le zone di guerra. Questo dovrebbe rilassare gli animi di tutti. Da noi, per quanto appaiono molti, arrivano in pochi, un numero che l’Unione europea sarebbe bene in grado, a mio parere, di assorbire. Occorre però creare una struttura sovranazionale operante sul nostro territorio nazionale che gestisse rapidamente le singole situazioni di ognuno dei migranti giunti fortunosamente in Europa dagli approdi siciliani. Dotarli di documenti, di un primo aiuto economico per affrontare il periodo iniziale, di un supporto linguistico nel luogo in cui scegliessero di andare e di un aiuto per il reperimento di un’occupazione. Il punto debole di questa strategia, sta nel fatto che, evidentemente, tutti questi poveri cristi dovrebbero essere smistati nei paesi dove non è difficile trovare lavoro, anche se mi pare si possa parlare di lavoro non qualificato stando alle informazioni disponibili sulla maggior parte di loro che provengono da aree rurali o da periferie urbane dove solitamente non vengono raggiunti livelli elevati di istruzione. Dovremmo allora equipararli a cittadini che, in quanto rifugiati per ragioni politiche (sono soggetti in fuga da zone di guerra), dovrebbero poter godere almeno di una cittadinanza temporanea e di libertà di circolazione nel nostro continente, assolvendo  noi, preventivamente, le procedure di identificazione certa per evitare rischi di infiltrazioni terroristiche. Aver paura di tutti loro, contrariamente a quanto si dice da parte dei veri xenofobi, non ci salverà dal pericolo del terrorismo, anzi lo alimenterà perché il rifiuto indistinto è irragionevole e disumano. Tutti noi abbiamo attraversato periodi storici in cui prevaleva la migrazione per effetto del bisogno. L’Italia stessa, proprio in questi anni conosce una nuova ondata di migrazione. Non possiamo e non dobbiamo opporci ciecamente a queste dinamiche cicliche della storia, dobbiamo imparare a governarle con la consapevolezza che oggi, a differenza del passato che ha conosciuto vergognose forme di chiusura e ostilità agli stranieri, siamo potenzialmente in grado di farlo. 
Chi avesse ancora dei dubbi, provi a guardare dritto negli occhi un ragazzo impaurito, solo, infreddolito al suo arrivo a Lampedusa. Provi a pensare al carico di sofferenza che si porta addosso, mandato dai familiari allo sbaraglio, con la speranza che se fosse arrivato vivo forse, e sottolineo forse, avrebbe avuto una vita migliore. Provate a guardarlo dritto negli occhi e considerate, mutuando Primo Levi, se, per voi, anche quello è un Uomo.