50 sfumature di mediocrità

Finalmente ho visto 50 Sfumature di grigio. Ho difficoltà a trovare un film altrettanto stupido e malfatto. Malfatto al punto di mostrare errori grossolani come nella sequenza del primo meeting dei due protagonisti nella stanza rossa dei giochi. Un tentativo non riuscito di climax rovinato dalla inettitudine del montaggio che non si avvede di riproporre Christian vestito dopo che si era spogliato e già inoltrato nell’intimità di Anastasia.

Tutto il film è un affastellamento di stupori unicamente derivanti da una ricchezza la cui invadente volgarità è testimoniata dalla totale assenza di riferimenti, fatta eccezione per l’acquisto di “cose”, quelle che, appunto, possono offrire semplici stupori a chi neanche si ricorda cosa fosse il senso critico.
Veniamo all’erotismo di questa storia, così atteso dal pubblico soprattutto femminile. Partiamo dai personaggi. Il film inizia con l’intervista che Anastasia  deve realizzare, direttamente con Christian, che poi è l’occasione in cui si conoscono. Lei è turbata dopo il primo secondo e lo resta per tutto il film, provocando una istintiva irritazione perché questa mancanza di senso della misura della regia vira il turbamento in goffaggine. Il suo viso da novella Sophie Marceau, inoltre, rende divertente e persino ridicolo il contrasto tra la sua condizione di vergine e la disinvoltura con cui affronta le pratiche sessuali estreme volute dal partner già dopo un solo giorno.
Lui, Christian, è un 27enne che ha già nel suo passato una vita difficile, l’esperienza della fame, degli abusi, dello sfruttamento sessuale da parte di un’amica ricca della mamma adottiva, ha studiato, si è laureato, ha imparato a suonare il pianoforte, pilota alianti ed elicotteri con la leggerezza di chi ha accumulato migliaia di ore di volo, ha avuto quindici donne sottoposte alle sue voglie, voglie dalle quali non sa non vuole non può uscire. A 27 anni guida un impero economico nei ritagli di tempo tra aerei, elicotteri, musica, gite, weekend, sessioni sadomaso eccetera eccetera. Ossessionato dal contratto di sottomissione sessuale, va in crisi finché lei non accetta di farsi frustare assumendosi l’onere di contare le frustate stesse. 
Questa storia cinematografica avrebbe avuto qualche chance di verisimiglianza se il regista avesse proposto una coppia di quarantenni. Come ha immaginato la grande maggioranza delle persone a cui ho sentito commentare il libro. Questi giovanetti, un quasi imberbe supereroe e porno divo sadomaso ed una verginella del mondo di Amélie, costringono dal primo istante lo spettatore a vedere il film in chiave parodistica.
A dirla tutta, la sensualità dei film con Alvaro Vitali ed Edwige Fenech è un apice che questa storia melensa, mal scritta, interpretata in modo canino, diretta con superficialità non potrà mai raggiungere. Al business che gli sta dietro importerà poco, anzi niente, considerando che se la sono bevuta  milioni di spettatori in tutto il mondo. Ma è il nostro tempo questo, quello delle sfumature di grigio, il colore della mediocrità, la stessa contenuta ed espressa in questa risibile sceneggiata.
 

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