Riforme della scuola? NIET !

Ci risiamo. Sono nella scuola dal 1992, da allora ho visto tanti interventi di rivisitazione di alcuni aspetti del nostro sistema di istruzione e dal 1999 a oggi ho vissuto tutta la stagione dei tentativi di riforma della scuola. La sola costante è l’avversione totale, incondizionata, senza appello a qualsiasi cambiamento. Per partito preso, verrebbe da dire. Perché non si riesce a trovare neanche un orientamento politico chiaro di questo movimento trasversale di opposizione dura e cieca contro ogni mutamento del confuso e rattoppato statu quo della nostra vecchia scuola. 

Si tratta di un settore della pubblica amministrazione che storicamente si auto accredita di grandi numeri con orientamento politico di sinistra. Eppure la riforma Berlinguer fu violentemente criticata e affossata. Un’ipotesi che in fondo chiedeva un aggiustamento del ciclo primario che almeno tentava di riorientare la scuola media, il segmento che negli anni a seguire ha mostrato le più profonde punte di criticità, specie nel confronto con gli altri paesi. Eppure niente, il no fu compatto, incivile, provinciale, opaco per gli interessi che celava ma che erano sotto gli occhi di tutti. Altrettanta violenza abbiamo visto per le riforme che vanno sotto il nome dei ministri di centro destra, la Moratti, la Gelmini. Ma nemmeno il progressista Fioroni è riuscito a far nulla di significativo di fronte al muro del rifiuto in blocco di ogni riforma. 
Certo, qualcosa nel frattempo si è per fortuna imposto, ma non c’è Governo che non abbia pagato duramente il tentativo di mettere mano alla scuola o, meglio, agli aspetti della scuola che sono da decenni terreno di coltura del clientelismo sindacalizzato. Si può parlare di curriculum da rinnovare e di altre questioni di aria fritta, allora si sviluppano infiniti quanto inutili dibattiti, ma se solo si opera una proposta che faccia vacillare gli equilibri acquisiti, ecco che la protesta violenta, irragionevole, pretestuosa, disinformata prende campo nelle piazze e per ogni dove.
Cosa spaventa tanto il corpo docente che ha così disimparato il dovere degli adulti di saper dare l’esempio, da avere acquisito invece il comportamento degli alunni che sono sempre pronti a inventare una scusa per i compiti non fatti, l’assenza imprevista, l’impreparazione ad un esame? Sì, perché c’è sempre un motivo per dire no ad ogni tentativo di sistemare e aggiornare le cose della scuola, specie se si parla di valutazione. Incomprensibile il dato che riporta una buona disponibilità di questa categoria di pubblici dipendenti alla valutazione, finché si tratta di dichiarazioni rese ad un’intervista. Se poi si discute di riforme… il dato cambia. Niet!
Domani si sciopera. Perché? Provate a fare un sondaggio, la risposta sarà che non si vuole che le presidi di scuola abbiano più potere. Parliamo di una categoria a stragrande maggioranza composta da donne, proprio quelle di cui si dice normalmente che sono più oneste e meno disponibili alla corruzione. Concordo, ma soprattutto lo dimostrano i fatti. Allora perché questo pregiudizio preventivo? Perché proprio le dirigenti scolastiche e quel manipolo residuale di colleghi maschi dovrebbe assumere figli, nipoti amanti e amici invece dei meritevoli? Certo il Paese Italia non ha pre-requisiti confortanti in tal senso, ma se proprio dalla scuola non si riesce a far partire un dato in controtendenza allora siamo spacciati. Perché non dare fiducia a questa categoria prevalentemente femminile di dare inizio ad una nuova stagione di moralizzazione? Perché suffragare il presupposto che i docenti siano tutti meritevoli e il pregiudizio che i dirigenti siano tutti corrotti? Perché la categoria docente, anche questa enormemente femminile per consistenza, deve temere la valutazione da parte di chi le conosce veramente? Perché non discutere del come invece di buttare tutto a mare? Per esempio affiancando il Dirigente con il già esistente Comitato di valutazione. 
Per la mia esperienza si tratta di persone in genere motivate, professionali, tanto nella dirigenza quanto nella docenza pubblica. Con poche eccezioni che avrebbero appunto bisogno di una valutazione concreta e fatta in loco. Perché allora preferire il sistema attuale dove la valutazione è di carta? Dove le responsabilità si perdono sempre nei meandri della burocrazia, tra i rimpalli fra gradi diversi di amministrazione, occultate da un corporativismo cialtrone ed iniquo che fa pagare il prezzo della mediocrità ai nostri studenti che giustamente sono disaffezionati alla scuola. Perché questo movimento sindacale così furibondo quando si tratta di rivedere le regole della gestione del personale? Quando un insegnante non è in grado di fare il suo lavoro, per mille possibili ragioni, chi ne è al corrente? Il distante ex Provveditore? Il sidereo Direttore regionale che non conosce neanche tutti i suoi dirigenti scolastici? Il Ministero di via Trastevere? A saperlo sono la sua Dirigente di scuola in carne e ossa e le sue colleghe che devono coprire, sopperire, a volte mentire persino sull’inadeguatezza della collega, perché la sola preoccupazione rimane “salvare il posto di lavoro” a chi non se lo merita o è incapace. E degli alunni? Importa ancora a qualcuno cosa facciamo per il loro bene e il loro futuro? La scuola a cosa li deve preparare? Al merito che non sappiamo gestire perché rifiutiamo il suo naturale strumento che è la valutazione oppure li addestriamo, come avviene ora, all’ipocrisia nazionale del due pesi e due misure, della doppia verità quella per se stessi e quella per gli altri, al vuoto etico?

 

Protestare è legittimo, ma dire sempre no non significa protestare, significa cercare un alibi per pascere greggi di yes men, anzi di yes woman visto che siamo nel mondo della scuola. Se tutti questi pregiudizi devono pesare tanto, allora introduciamo subito le quote azzurre per ristabilire un minimo di pari opportunità e dare risposte pedagogiche alle generazioni di giovani a cui proponiamo modelli squilibrati per genere. Domani sarà una nuova giornata di sciopero ma per l’ennesima volta sarà tutto avvolto nella nebbia del pregiudizio e della dimenticanza della centralità degli studenti. E ancora una volta, proprio coloro che dovrebbero educare gli studenti, cioè i cittadini del futuro, ai cambiamenti, saranno in prima linea a protestare per conservare il vecchio e impedire il cambiamento.

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