Il secolo delle solitudini

(16 nov 2022)

Siamo stati educati a pensare alla nostra storia come un cammino di progresso. La scuola, ovunque nel mondo, è l’istituzione che si è fatta carico di farci interiorizzare un modello mentale per cui se pensiamo all’Uomo, pensiamo ad una crescita che passa per tappe del progresso tecnologico (età della pietra, del bronzo, del ferro, etc.). Evoluzione e progresso, però, non sono sinonimi. L’età moderna ha posto l’accento sul progresso scientifico. Quella contemporanea su quello tecnologico. Per l’Evoluzione, dovremmo fare un discorso a parte.

In questa visione della nostra storia centrata sul Progresso trovano il loro senso: il bisogno di sicurezza, l’ansia delle certezze, la paura della morte ed altri importanti caratteristiche della psiche che in origine esprimeva l’unione inscindibile della complessità umana, fatta di strutture biologiche e sovrastrutture socio-culturali. ψυχή significa respiro e soffio al medesimo tempo, ovvero una funzione che permette al mondo di entrare (inspirazione) nell’individuo e attraversare tutte le sue dimensioni, ma allo stesso tempo consente all’uomo di restituire (espirazione) al suo ambiente (contesto e relazioni) ciò che ha aspirato ma in forma modificata. Per ciò il respiro, ψυχή, indicava l’anima, perché questo circuito di retro-alimentazione circolare, che in modalità diverse si trova in tutte le culture, generava l’armonia.

Lo sviluppo della linearità causale ci ha fatto progredire ma anche involvere. Semplificazione e riduzionismo (la prospettiva metodologica della scienza fino a prima del quantismo) non alimentano la circolarità dell’armonia.

Il tempo che viviamo è fortemente condizionato dalla tecnologia diffusa. Cellulari, tablet, computer sono rappresentativi di questa dipendenza che ha ancorato la vita umana alla presenza costante di un oggetto portatore simbolico della fiducia nel progresso tecnologico. Se relazioniamo la storia del progresso tecnologico (era della pietra, del bronzo, del ferro, etc.) al regime di vita dell’Uomo, ci rendiamo conto che di pari passo al progredire dell’armamentario disponibile, si sono via via ridotte le sollecitazioni quotidiane alle funzioni umane biologiche. La possibilità di lavori sempre meno fisici ha dapprima ridotto fortemente l’uso delle gambe; l’avvento dell’informatica ha poi diminuito quello delle braccia e oggi gran parte del lavoro fisico è limitato all’uso delle mani e delle dita.

Questo stile di vita ha prodotto cambiamenti importanti nella nostra salute e da ciò è sorto un sistema sanitario ingigantito dalla massa delle patologie collegate alla diminuita capacità di tollerare sforzo fisico. Da ciò il boom del fitness che cerca di recuperare quanto perduto, seppure con altre modalità. Se prima la fisicità del corpo era strumento per compiere lavori che per la loro caratteristica ci mantenevano allenati, oggi quella che Han definisce “ossessione del fitness” rende il corpo un tempio narcisista in quanto lo si allena per se stesso. Chiunque è in grado di valutare la deriva narcisista collegata al culto del corpo dell’era post moderna.

Quello che fin qui si è brevemente descritto mostra come ad ogni individuo tocchi oggi un’esperienza della vita che lo spinge a forme di solitudine ed isolamento. Anche quando entriamo in relazione con un Altro, obiettivo della relazione rimane l’Io. Lo si vede nella marea degli interventi politici e istituzionali in cui gli oratori parlano ma non ascoltano; lo si vede riflesso nei dibattiti giornalistici durante i quali ogni intervento viene sempre inframmezzato e interrotto dall’urgenza degli altri interlocutori di dire la propria, senza avere ancora recepito l’intero messaggio del primo parlante; lo si vede nella dinamica dei processi civili dove non si ascolta nessuno ma si leggono solo carte.

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