Di pochi giorni fa la notizia di un matrimonio da Mille e una notte a Firenze. Una coppia di giovani indiani, figli di gente chissà come e perché ricca oltre ogni criterio di decenza, ha sperperato una cifra faraonica per il capriccio di sponsali maestosi nella bella cornice del capoluogo toscano. Ci si erano dati il primo bacio durante un viaggio precedente e lì hanno voluto suggellare.
Ricevuto il permesso dal Comune e pagato una quota di affitto del suolo pubblico, i due imberbi hanno fatto allestire due villaggi, uno per lo sposo ed uno per la sposa, con cui riprodurre le modalità tradizionali indiane previste in simili occasioni. Un maestoso corteo si è pure dispiegato sul lungarno con il solo neo del permesso negato, ai capricci della risibile coppia, di un elefante che aprisse le fila e segnasse il ritmo dell’incedere lento e nuziale. Non sappiamo se augurarci o no che tale contrattempo, per effetto di tradizioni locali, produca una futura voglia nella giovane moglie, non sapendo se la principale caratteristica del pachiderma che eventualmente si ripresentasse magari in altra disposizione nella futura discendenza, sarà o meno considerata un attributo di valore o un voluminoso dettaglio vergognoso. Si vedrà.
Intanto, mentre il pubblico del territorio si gode la stranezza colorata di questa apoteosi dello spreco capitalista travestito da amore per la tradizione indiana, mentre i media si lasciano suggestionare con triste superficialità da “lu curtigghiu” extra comunitario, in India giace il destino di due militari italiani, ormai dimenticati da tutti. Con atteggiamento opposto a quella cedevole ubriacatura con cui in questo paese si soccombe ad ogni iniziativa che ci vede in difficoltà, i nostri marinai restano appesi al cappio di una “politica giudiziaria” cialtrona e sfottente che di rinvio in rinvio ha già fatto scontare alcuni anni di prigionia ai due militari italiani applicando il principio della presunzione di colpevolezza.
Non essendo altrimenti definibile l’ostinazione con cui non vengono definiti i capi d’accusa né consentito l’esame delle prove alla difesa. Il caso ha sottratto uno dei nostri marinai all’agonia della prigione speciale istituita presso la nostra ambasciata, ma non consola affatto essendo il suo destino comunque legato a quello del compagno d’armi.
All’indomani dell’incidente diplomatico tra Russia e Turchia, quello originato dall’abbattimento di un aereo militare russo da parte della contraerei turca, Putin ha interrotto le relazioni, fatto arrestare alcuni uomini di affari turchi, congelato le quote di scambio commerciale e non so che altro. Erdogan, da suo pari, ha rilanciato minacciando conseguenze tragiche. Ora, è vero che non è nelle corde italiane (per fortuna) questo stile da adolescenti in affanno con i tumulti ormonali, ma neanche si può restare così in balia degli eventi e non considerare mai che se gli altri esercitano su di noi una indebita pressione, forse è il caso che a nostra volta mettiamo in campo una qualunque forma di ritorsione. Magari si offre nuovo impulso alla linea diplomatica che, altrimenti, rischia di restare paralizzata nel circuito di un savoir faire di facciata. Forse, riusciremmo anche a garantire il matrimonio di questi nostri soldati, riportandoli a casa consentiremmo alle loro famiglie di riprendere una vita normale, se solo fossimo meno assorbiti dalla curiosità per quello spettacolare esempio di volgarità consumistica che è stato il recente sposalizio dei due rampolli indiani…