Né Legge né Giustizia

“L’ex pentito Mauro Marra che ha ucciso decine di persone per conto di Cutolo è già fuori per decorrenza dei termini: i magistrati non hanno trovato il tempo di processarlo.” Così titola uno dei tanti giornali di oggi. La domanda è: cui prodest? A chi giova? L’errore procedurale, ammissibile in linea di principio, quale funzione assolve in questo caso? Non persegue il bene comune che sarebbe la funzione generale della Legge; non assicura la pax sociale che sarebbe l’obiettivo della Giustizia. Dunque? Cos’è? Un garantismo criminale che aiuta i delinquenti a foraggia gli avvocati spregiudicati. Insomma, una stortura… del Diritto. Correggerla tempestivamente, non si può o non si vuole?

Competitivi o servili

Al di là delle chiacchiere recitate, il nostro non è un paese di cultura competitiva. Non sarebbe un male se fosse di cultura partecipativa. Gli americani sono competitivi, senza fronzoli ed alibi. Fingiamo di imitarli, ma non è così, ce ne serviamo come di un paravento, meglio, sono un modello che ci serve per camuffarci. Il nostro paese, invece, si caratterizza per l’invenzione continua di gerarchie di cui tutti si affrettano ad occupare i posti di vertice con ogni mezzo possibile. Ci aiuta il sapere burocratico. In fondo, si tratta di una insidiosa espressione di prepotenza, sorella del privilegio, figlia della violenza, che ci rende tutti servili e inetti.

Contro lo sviluppo (parte seconda)

Sono debitore proprio a Edgar Morin di una efficace sintesi che sul concetto di sviluppo poggia l’ombra del dubbio e sparge la luce del ripensamento: «L’idea di sviluppo è un’idea sottosviluppata!». Nella sua interpretazione, specifico di questa logica dello sviluppo ad ogni costo è ignorare i contesti umani e culturali così che il prodotto più naturale dello sviluppo, è per lui il sottosviluppo psichico, intellettuale e morale.
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Contro lo sviluppo (parte prima)

“C’è crisi, c’è crisi”. Questo autentico mantra dell’evo contemporaneo comincia a disturbarmi. Moltitudini di analfabeti, prodotto autentico dell’attuale sistema sociale, lo ripetono a giustificazione della propria inabilità se non incapacità, altri lo evocano come un alibi per coprire l’abitudine all’avidità o la smisurata ingordigia, altri ancora – più corrotti e simili al tipo letterario del lestofante – se ne servono per spacciare la propria inutilità di sostanza come una forma di competenza tecnica a cui affidare le sorti del comune destino.

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Quale futuro (parte seconda)

Se vogliamo fare un discorso serio, dobbiamo riconoscere che a morire, tutt’al più, sono state le forme storiche assunte dall’ideologia di riferimento, ma che questo debba significare tout court che persino l’ideologia è morta, francamente mi pare una forzatura e probabilmente una truffa.
D’altra parte, in epoca di campagna elettorale, è tutto un fiorire di richiami al mondo delle idee che le ideologie ha prodotto. Non dico le idee pratiche di basso profilo relative alle promesse come quella di abbassare le tasse o costruire scuole e ospedali, aspetti che non possono dirsi espressioni ideologiche quanto piuttosto esigenze sociali universali. Dico invece di quell’esigenza, da parte dei candidati, di far credere che il loro impegno politico è, per così dire, agganciato a quadri teorici di riferimento dai quali dovrebbe discendere la loro affidabilità verso gli elettori.

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Un pomeriggio nella borgata

Di pomeriggio, seduto a prendere un po’ di fresco nel giardinetto della mia borgata, Tommaso Natale, tra piante stentate ed alberi che soffrono a crescere sulla poca terra che tanti anni fa ha sepolto le scorie di una fabbrica chimica. Osservo un gruppo di giovani spendere il proprio tempo libero e la gioia, forse, della scuola appena conclusa. C’è in loro una esuberanza che non ha titolo per tradursi in presunzione di simpatia, come stupidamente si reitera per insana vanagloria dalle nostre parti. Si tratta piuttosto di una chiassosa quanto inutile volgarità. Non c’è emozione nelle grida sistematiche, non c’è pensiero nel turpiloquio invadente, non c’è alcuna rivendicazione identitaria nel comportamento aggressivo, facile alla violenza e incline alla prepotenza. Vedo un branco sterile e pericoloso che poggia un’ipoteca insanabile sul futuro della città e, forse, del Paese intero.

Ai compagni della lista Costa

Le elezioni, se uno vi prende parte, è meglio vincerle. Ma detto questo, è altrettanto vero che ad ogni vittoria corrisponde una sconfitta, o la sconfitta di molti. E se è lecito stare ad osservare cosa farà il vincitore, pure chi ha perso dovrà darsi da fare, sebbene in un’altra direzione che è quella della ripartenza, della ricostruzione, della previsione di un nuovo percorso. Leggi tutto “Ai compagni della lista Costa”

Elezioni: una prima analisi

A scrutinio elettorale appena concluso, mentre ancora mi risuona nella testa il realismo paradossale dell’articolo di Ermanno Cavazzoni (“Lasciatemi fare l’eremita”, Sole 24 Ore, domenica 6 maggio; chi l’ha perso lo recuperi) che spinge ben oltre gli orizzonti usuali la ricerca di un senso alla nostra contemporaneità, voglio fare alcune osservazioni sul voto delle amministrative a Palermo. 1. Leggi tutto “Elezioni: una prima analisi”