“C’è crisi, c’è crisi”. Questo autentico mantra dell’evo contemporaneo comincia a disturbarmi. Moltitudini di analfabeti, prodotto autentico dell’attuale sistema sociale, lo ripetono a giustificazione della propria inabilità se non incapacità, altri lo evocano come un alibi per coprire l’abitudine all’avidità o la smisurata ingordigia, altri ancora – più corrotti e simili al tipo letterario del lestofante – se ne servono per spacciare la propria inutilità di sostanza come una forma di competenza tecnica a cui affidare le sorti del comune destino.
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