Palermo fucsia

Il sindaco Orlando ospita a Palermo il gay pride. Afferma orgogliosamente di essere il primo cittadino di una città che egli considera “capitale dei diritti umani”. La notizia non può che fare piacere in senso etico e civile, ma suscita perplessità sul piano banale dell’umana e quotidiana esistenza. Da cittadino di una delle mille periferie di Palermo provo una certa invidia per questo fervore corale, dato che in queste lande, di diritti quasi non se ne vedono. Non c’è quello all’igiene, né quello alla serenità, né quello all’efficienza, né quello alla civile convivenza, né quello alla libertà di movimento posto che ciascuno deve spendere molte ore prigioniero di un traffico stupido, rabbioso. Chissà se si troveranno anche l’energia e l’entusiasmo, così enfatizzati per il corteo fucsia, per restituire a questa città un po’ del decoro che la distinse ai primi dell’ormai distante inizio del Novecento.

Cinema o realtà?

Un insospettabile bidello di scuola, si scopre essere in realtà un pericoloso bandito che effettua rapine a mano armata prendendo in ostaggio i bambini delle sue vittime. Bambini della stessa età di quelli che accudisce al mattino come lavoratore precario assunto dal Comune e piazzato in un istituto della periferia di Palermo. Si scopre anche che il Comune era al corrente di un suo già noto curriculum criminale ma che questo non abbia impedito l’incarico stipendiato con denaro pubblico, per via di una generale tolleranza con cui la vecchia politica maschera speculazioni elettoralistiche.
Protagonista, tra gags comiche e atmosfere surreali, è il vivace Verdone.
La notizia si trova nella “cronaca” di Repubblica. Avremmo preferito trovarlo nella rubrica “cinema”…

Ci salverà la bellezza o ci seppellirà una risata?

«La bellezza salverà il mondo» afferma il principe Miškin ne L’Idiota di Dostoevskij eppure la profezia dello scrittore russo non si è avverata, non in Italia dove si è invece affermata una vocazione al brutto, sporco e cattivo che sarà segno dei tempi, ma è anche uno stile di vita consueto adottato ormai dalla popolazione. Se a una ipotetica mappa della bellezza storica, architettonica e monumentale dell’Italia si sovrapponesse una mappa dello scempio, dell’abuso e dell’obbrobrio, avremmo la rappresentazione grafica della nostra trasformazione da paese della bellezza a paese della bruttezza.

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Lo Stato siamo noi? Una lettura delle recenti elezioni politiche

La congiuntura attuale lasciava presumere elezioni politiche in chiave PD. Il maggior partito della sinistra italiana poteva suonare una trionfale sinfonia in chiave di RE-nzi. Accontentiamoci di dire che le primarie lo hanno messo fuori, ma non facciamo finta di non sapere che altri meccanismi, come al solito sotterranei e miopi, lo hanno messo fuori dai giochi per effetto di una polemica interna accidiosa e ostile al rinnovamento. La musica ha preso quindi una chiave di BEH-rsani che ha esitato uno striminzito quanto inutile primo posto senza vittoria.

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Un albero o un alibi?

Il ficus casualmente posto davanti allo stabile di via Notarbartolo dove abitava il giudice Falcone, diventerà “bene culturale”. La Soprintendenza ha avviato la procedura di riconoscimento. A cosa servirà questa pièce? Meglio, a chi?

L’albero è già riconosciuto “sito della memoria”. Cosa aggiunge questa tutela se non l`ennesima recita di un Diritto che non sa perseguire certezze? Già oggi, chi lo danneggiasse ne avrebbe guai seri, per quel che si intende per guai giudiziari in un Paese che scarcera un killer con 30 omicidi perché ai suoi avvocati sono arrivate in ritardo 120 pagine del suo fascicolo criminale. Fosse necessario si potrebbe tutelare con protezioni varie, con grande giubilo di chi, per la pubblica amministrazione, si trovasse a concedere un appalto…

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Né Legge né Giustizia

“L’ex pentito Mauro Marra che ha ucciso decine di persone per conto di Cutolo è già fuori per decorrenza dei termini: i magistrati non hanno trovato il tempo di processarlo.” Così titola uno dei tanti giornali di oggi. La domanda è: cui prodest? A chi giova? L’errore procedurale, ammissibile in linea di principio, quale funzione assolve in questo caso? Non persegue il bene comune che sarebbe la funzione generale della Legge; non assicura la pax sociale che sarebbe l’obiettivo della Giustizia. Dunque? Cos’è? Un garantismo criminale che aiuta i delinquenti a foraggia gli avvocati spregiudicati. Insomma, una stortura… del Diritto. Correggerla tempestivamente, non si può o non si vuole?

Competitivi o servili

Al di là delle chiacchiere recitate, il nostro non è un paese di cultura competitiva. Non sarebbe un male se fosse di cultura partecipativa. Gli americani sono competitivi, senza fronzoli ed alibi. Fingiamo di imitarli, ma non è così, ce ne serviamo come di un paravento, meglio, sono un modello che ci serve per camuffarci. Il nostro paese, invece, si caratterizza per l’invenzione continua di gerarchie di cui tutti si affrettano ad occupare i posti di vertice con ogni mezzo possibile. Ci aiuta il sapere burocratico. In fondo, si tratta di una insidiosa espressione di prepotenza, sorella del privilegio, figlia della violenza, che ci rende tutti servili e inetti.

Contro lo sviluppo (parte seconda)

Sono debitore proprio a Edgar Morin di una efficace sintesi che sul concetto di sviluppo poggia l’ombra del dubbio e sparge la luce del ripensamento: «L’idea di sviluppo è un’idea sottosviluppata!». Nella sua interpretazione, specifico di questa logica dello sviluppo ad ogni costo è ignorare i contesti umani e culturali così che il prodotto più naturale dello sviluppo, è per lui il sottosviluppo psichico, intellettuale e morale.
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Contro lo sviluppo (parte prima)

“C’è crisi, c’è crisi”. Questo autentico mantra dell’evo contemporaneo comincia a disturbarmi. Moltitudini di analfabeti, prodotto autentico dell’attuale sistema sociale, lo ripetono a giustificazione della propria inabilità se non incapacità, altri lo evocano come un alibi per coprire l’abitudine all’avidità o la smisurata ingordigia, altri ancora – più corrotti e simili al tipo letterario del lestofante – se ne servono per spacciare la propria inutilità di sostanza come una forma di competenza tecnica a cui affidare le sorti del comune destino.

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