Quando un/a cretina/o era un/a cretino/a

Ed Elohim creò l’Uomo a sua immagine: ad immagine di Elohim lo creò: maschio e femmina li creò (Genesi, 1, 27).

In origine, dunque, non era più che un dato di natura la differenza maschio-femmina. Quando questa differenza si è fatta cultura, ha invece dato vita a una infinita varietà di stupidaggini. Il “politically correct” è la lingua ufficiale della imbecillità diffusa.

Ricevo le tesine di fine corso in prossimità degli esami del corso post laurea in Educazione inclusiva. Una delle candidate a pagina 1 inserisce la seguente nota: Nella redazione di questo testo si utilizzerà il genere maschile solo al fine di facilitare la lettura, nonostante ogni volta che si fa riferimento a bambini, alunni, docenti, giovani etc. lo si farà in un’ottica ampia che comprende tutte le caratteristiche di genere.

Dopo un primo stupore, una risata mi ha aiutato a riflettere. Mi sembra evidente come si confermi il principio secondo cui excusatio non petita accusatio manifesta. Ovvero, nel tentativo di “apparire” inclusiva, capace di “un’ottica ampia”, la laureanda ha finito col dichiarare di essere una portatrice incosciente di pregiudizi che ovviamente rinforza con la sua sensibilità e intelligenza solo apparenti. Le ragioni storiche per cui il genere grammaticale maschile esprime universalità sono troppo note per ricordarle e quindi la excusatio è priva di ragion d’essere se non in forza di una visione dell’autrice che confonde il suo Io con il Noi del mondo che la circonda.

Più che fare “bella figura” come si sarà forse proposta, mi fa pensare che da ora in poi in sala chirurgica, prima di operare, i medici dovranno registrare una dichiarazione con la quale chiariscono che durante l’operazione toccheranno il corpo della paziente non con intenzioni sessuali ma per finalità strumentali esclusivamente mirate al mantenimento in vita della paziente… La superficialità di giudizio ha cioè consentito lo sviluppo di una forma di stupida intelligenza che mette in condizione di dire cose che appaiono ciò che non sono: pensieri. Capisco che qualche mio detrattore/trice potrà insinuare ora stesso le medesime riflessioni su me e questo scritto, ma resta il fatto “ampiamente” oggettivo che precisare che il genere maschile indica tutti i generi è la forma con cui il/la cretina/o sale sul palcoscenico dell’apparenza.

Veniamo da anni di dibattito sulla necessità di cambiare anche la lingua per controllarne gli effetti in termini di modelli interiorizzati. Nessuno scandalo per il potere della televisione o dei media o dei social, questo è ormai assimilato da tutti, maschi e femmine. Il problema è che una donna con un incarico di apice si deve chiamare Presidentessa e diffonderne l’uso. Etimologia e spiegazioni da esperto linguista non hanno più valore. A partire dal prossimo anno, all’inizio dei ogni partita di campionato femminile di football, l’arbitressa chiederà alle due capitanesse di scegliere se testa o croce per capire a chi tocca il pallo.

Una volta mi sono trovato a far parte di una commissione istituzionale che doveva redigere un documento ufficiale da diffondere. La Commissione era quasi paritetica per genere. Due giudici donne hanno posto il problema del genere grammaticale chiedendo di manipolare l’uso che ancora si insegna nelle scuole per veicolare attraverso il linguaggio nuovi modelli culturali nelle nuove generazioni. Tecnicamente una operazione subliminale, normalmente punita dai giudici. Il documento, dopo un dibattito estenuante tra rivendicazioni ideologiche e perplessità di comune buon senso, è stato redatto con alternanza di paragrafi scritti alternativamente al maschile… ops! pardon, al femminile e al maschile.

La scuola in generale è donna. La scuola dell’infanzia è esclusivamente femminile se si pensa alla categoria docente (formalmente nel 1977 è stata abolita la “proibizione” per gli uomini di far parte degli staff di docenti e assistenti delle scuole d’infanzia; sostanzialmente rimane un divieto socio-culturale nel vuoto assoluto di politiche ministeriali pro quote azzurre). Nel generale clima di auto-referenzialità che caratterizza la scuola, un moto di orgoglio ha preteso che i vecchi asili cambiassero nome. Dalle scuole materne alle scuole d’infanzia (riforma Moratti) nella supposizione che abbandonare la logica familistica per quella formale della scolarizzazione rappresentasse un avanzamento. Dalla mamma allo Stato insomma. Un caso tipico di progresso senza evoluzione. Meglio, un caso tipico di progresso con involuzione. Meglio sarebbe stato concentrarsi sul giardino d’infanzia. Ci si dimentica, infatti, che nel Genesi il giardino è il luogo in cui Elohim fa germogliare l’albero della vita e l’albero della conoscenza, poi abbattuti dall’insipienza delle classi dirigenti degli ultimi decenni.

La ministra francese per le pari opportunità, signora Moreno, pensando di dire una cosa intelligente, ritenendo di offrire una provocazione intellettuale e presumendo di sé tante altre cose rimaste per fortuna inespresse, ha affermato che Napoleone era misogino. Ovviamente senza prove documentali, solo pura emozione ed opinione personale. Rivedere la storia non per fini scientifici ma per interessi e finalità personali si chiama manipolazione. Se poi la si esprime a senso unico su questioni di genere, in un caso come questo si chiama misandria.

A volte ho l’impressione che diamo per scontato che abbiamo fatto progressi ma in realtà abbiamo preso una strada sbagliata: il determinismo. Se avessimo proseguito la strada che avevamo intrapreso nel Rinascimento, oggi non avremmo i problemi sociali che vediamo. Forse “el sujeto que evolucionó con la tecnociencia se cree unidimensional y considera que la realidad es isomórfica en ese sentido, es decir, que es unidimensional” (J. Sarquís & J. Buganza, La teoría del conocimiento transdisciplinar a partir del Manifiesto de Basarab Nicolescu, “Fundamentos en Humanidades”, Año X – Número I (19/2009) pp. 43/55, Universidad Veracruzana).

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