In questa tornata elettorale amministrativa, mia prima prova da intendersi però come esperienza civica, mi è capitato più di una volta di annunciare ad amici e conoscenti che, appunto, mi candido. Non di rado la prima risposta è stata: “Pure tu?”
Dopo qualche volta mi sono interrogato: per quanto si tratti di due parole semplici e di uso comune, come mai è ricorrente questo tipo d risposta? Ne ho parlato con qualche altro candidato che ha confermato questa tendenza. L’opinione che mi sono fatto è questa che ora spiego:
– “pure tu” intanto vuol dire che chi la pronuncia si è fatto il convincimento che ci siano tanti tanti altri candidati, tanti da indurlo a questo finto stupore offerto a me come manifestazione di un suo giudizio ancora taciuto ma urgente;
– il giudizio che urge appena dietro l’autocontrollo è negativo nei riguardi della politica (e questa sarebbe una ovvietà da non dirsi se non fosse per tutto ciò che gli sta intorno);
– il giudizio negativo sulla politica viene esteso “pure a me” per un difetto di funzionamento della mente che privilegia le associazioni facili e istintive a quelle che richiedono conoscenza, documentazione, senso critico;
– il giudizio, ricavato da una considerazione generica e vaga della politica italiana, è cioè divenuto pre-giudizio della più insidiosa natura, ha inquinato la serenità di giudizio di colui/lei che dice “pure tu” e ha inquinato la relazione col destinatario dell’infelice espressione, anche se questi era fino a un momento prima un buon amico/a;
– il pregiudizio è distanza e, nello stesso tempo, incapacità di colmare la distanza, è un moto corrotto del pensiero che pone una distanza e ne sancisce la sua inviolabilità, come una macchina il cui motore giri ma a vuoto e cos’ facendo si illuda che funzioni quando accade invece l’esatto contrario. “Pure tu”, in sostanza, significa sotterraneamente “Non invece io”. Che detto da un palermitano/a è il segno di quell’antico snobismo che da secoli ci fa credere i migliori del mondo nonostante ogni indagine in ogni settore ci collochi negli strati infimi e derelitti di ogni classifica. Gli esempi individuali, talvolta eccelsi, confermano più che contraddire questa situazione.
– “pure tu” e “non io” è un modo di pensare che crea due classi sociali non dichiarate ma agite nel comportamento quotidiano: i popolani e i nobili. Sono popolani tutti coloro, corrotti ed onesti, sfaticati e lavoratori, imbroglioni e volenterosi, che si danno da fare per la conduzione della vita collettiva, per la manutenzione della macchina sociale (tanto gli approfittatori quanto i sognatori del cambiamento). Sono nobili quelli che dicono “pure tu” e rivendicano sotto forma di “diritto” la voglia di lamento e l’impulso omicida che loro con più fatica degli altri tengono a bada. La voglia di lamento ha l’alibi della “critica” ma è pura logorrea condita di autocommiserazione; l’impulso omicida si esprime nella ferocia insulsa con cui si critica tutto e tutti senza sentirsi in obbligo di fornire alternative o, meglio ancora, senza la proposta di se stessi come alternativa, ma questa è una forma di imbecillità su cui poco c’è da dire.
Concludendo, traccio un profilo di colui/lei che agli aspiranti consiglieri risponde: “pure tu?” Si tratta di un/a individuo in difetto di autostima (se ne avesse penserebbe di meritarsi un mondo migliore, Palermo compresa); ha inclinazioni antidemocratiche (evita la partecipazione diretta) e forti pulsioni omicide (sottolinea le distanze fra sé e gli altri); è interessato/a per qualche segreta ragione a mantenere lo stato attuale delle cose (vedi aforisma kantiano); generalmente benestante, ha un lavoro poco faticoso (la sofferenza insegna a condividere la propria esistenza con l’altrui) da cui non dipende in modo esclusivo ed è perciò proprietario/a di beni patrimoniali ereditati o acquisiti per matrimonio; abita in quartieri meno esposti al degrado urbano e non rispetta regole civiche come la raccolta differenziata o l’orario di conferimento dell’immondizia o il divieto di parcheggio in seconda fila, etc.
Si tratta in sostanza di una persona che vive su due piani di realtà, quella immaginata e quella reale e adotta uno stile di vita sintetizzabile nel criterio: due pesi e due misure (uno per sé e uno per gli altri). Si crede cittadino/a modello ed è invece uno dei gravi problemi della città e una delle ragioni più astiose del suo ritardo culturale. È persona molto flessibile nel valutare i propri errori e rigidissima, quasi implacabile, nel cercare quelli degli altri di cui si nutre per coprire la vacuità della propria esistenza.
La domanda conclusiva per il nostro/a interlocutore immaginario, a questo punto è: con tutti gli italiani che già esistono in queste condizioni tanto che ci hanno portato al disastro che stiamo pagando a lacrime amare, “Pure tu”?