L’orgoglio del rompicoglioni

Un amico, in confidenza, mi dice: “sai che voce gira su di te?” Ed io cauto: “non saprei…” “Che sei un rompicoglioni”. Ci resto male. “Quello è un rompicoglioni”. Sapete dove si trova spesso questa espressione? Nelle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche con cui, a tira e molla, le forze dell’ordine e la magistratura inguaiano i corrotti. E sempre, quel modo di dire così colorito, è sinonimo di “persona che non si piega”, non si accoda all’esercito dei lestofanti, corrotti e corruttori, che questo Paese continuano a sbranare con la cieca avidità dei piranha.

In questa Italietta dei furbetti, in questo paesuccio dove anche le rivoluzioni sono rivoluzioncine, dove le pene per i cattivi sono solo ipotesi mentre il danno per i buoni è triste certezza, sono considerati rompicoglioni tutti quelli che fanno il proprio dovere e che non si adeguano allo sfascio. E sono considerati così fastidiosi che nel linguaggio comune li indichiamo equivocamente con questa espressione. A rigori, il rompicoglioni sarebbe uno stupido che si ostina a dare fastidio. Che queste caratteristiche, la stupidità l’ostinazione e il fastidio, siano associate ai cosiddetti “boni viri” è segno del degrado etico della nostra collettività. Soprattutto è segno del rovesciamento semantico con cui si dà cittadinanza al male e si esilia il bene. Condizione che è sotto gli occhi di tutti. Se un tempo il corrotto era isolato e additato, oggi avviene l’esatto contrario, l’onesto è isolato e additato e marchiato dell’epiteto di rompicoglioni. Era un rompicoglioni Giovanni Falcone e pure suo compare Paolo Borsellino, era rompicoglioni padre Puglisi, come Paolo Giaccone o Rocco Chinnici. Insomma, a questo penso. Il mio amico però precisa: “… Ma in senso buono”. Così mi sento orgoglioso, orgoglioso di essere un rompicoglioni.

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