Che delusione a tutta prima l’allestimento espositivo Palermo Artexpo inserito nella 2ª Biennale Internazionale d’Arte di Palermo. Meno male che sono andato anche all’Albergo delle Povere. Uno dei quattro siti in cui era organizzata l’esposizione. Tra il Loggiato di San Bartolomeo e Palazzo Sant’Elia, si assisteva ad una lunga serie di opere figlie di un “decorativismo” a volte ben organizzato, altre volte proposto con modalità bene oliate, altre volte ancora appesantite da una insulsa ricerca di originalità che ne annientava ogni valore. Avanguardia, zero. Quasi tutte le opere, infatti, erano con evidenza prive di un’idea, di una reale tensione artistica che nascesse da una visione dell’artista. Aspetto fortemente preoccupante perché se l’arte si attesta su una superficialità analoga a quella dilagante in questo brutto mondo che abbiamo tirato su, allora penso siano molto ridotte le possibilità di uscita o di costruzione di un futuro migliore.
Per fortuna, alla seconda domenica, l’ultima di questa troppo breve esposizione, all’Albergo delle Povere ho potuto ammirare una ricca messe di lavori decisamente apprezzabili nonostante la premiazione abbia infine eletto soltanto tre dei tanti partecipanti. Finalmente qualcosa con un’idea dietro. Molto interessanti le opere di Giuseppe Prestigiacomo che rievoca con intensità e partecipazione i momenti apicali del delirio mafioso; decisamente calde le atmosfere di Saccà che pesca tra i bagliori della nostra isola prediligendo l’eco onirica; decisamente stupefacente la vitalità delle figure femminili di Vesna Pavan, cariche di sensualità e soprattutto per quell’altra idea di ricercare un movimento nel colore fissando lo sgocciolare brillante di potenti smalti; bella ed invitante, ancora, l’effimera teatralità dei Santi che Anna Maria di Terlizzi ha realizzato con assemblaggi scultorei riccamente nutriti delle fibre del legno; pungente il ritratto a mezzo busto del pescecane Uomo politico ideato da Francesco Federighi; decisamente filosofico il Soldato d’amore di Michele Fattore che nella didascalia dell’opera sottolinea “quando il silenzio di tutte le nostre speranze farà tacere il rumore di tutte le guerre, si sentirà l’eco di un pianto…” e suggerisce un lieto fine che però non svelo a chi non ha visitato la mostra. Ma non è finita, perché mi è sembrata degna di attenzione la tela di Anna Maria Giordano che insinua l’idea di un Femminismo divenuto chiesa; tutto da scoprire negli infiniti dettagli The lifetime rock di Cristian Mancuso “Crimasso” che si diverte a descrivere un mondo nascosto nei tratti infinitesimali di un soggetto apparentemente dominato dalla sagoma di una roccia; poetiche le visioni di Wolfango “Telis” Intelisano Davide Motta che in SvgnS fa trasparire la sofferta eleganza di una donna che è segno di tutte le donne; ed infine stuporose le sculture di Domenico Zora che in ciascuna delle sue opere crea una una sensazione di movimento e di crescita che allude ad un regno superiore dove tutto trova l’armonia impossibile al di qua del cielo.
Ribadisco che mi sembrano poche le due settimane concesse, la città e i palermitani dovevano avere più tempo per metabolizzare la presenza di questa esposizione e creare dunque un rapporto più intenso con i luoghi che l’hanno ospitata. Resta da sottolineare l’incanto dei siti prescelti (confesso che ho però perso la visita al Politeama) e dunque invito chi si fosse perduto l’Expo, a tornare comunque all’Albergo delle Povere. Vi si può visitare ancora a lungo la collezione di reperti etruschi del museo Salinas entrato qualche anno fa nel cul-de-sac delle ristrutturazioni affaristiche con cui la Regione si copre di vergogne da decenni. Finiranno forse tra vent’anni di restaurare uno dei musei più belli d’Europa, ma almeno, nel frattempo, questa straordinaria collezione di opere prodotte tra il V e il II secolo a.C. resta in efficace concentrazione nelle sale dell’Albergo delle Povere. E aggiungo che qui si apprezzano molto di più di quanto non fosse capace di fare il museo Salinas, oppresso da una immensa mole di reperti che sono costretti per la stragrande maggioranza a restare tra le muffe dei depositi. Chissà che prima o poi anche tra i nostri responsabili regionali non baleni la geniale idea di decentrare le collezioni e fare uscire dalle cantine i nostri tesori, depositandoli nei mille siti interessanti di cui la città è dotata inutilmente. Chissà, anzi, che prima o poi un’idea, anche una semplice semplice, non brilli nelle teste dei nostri cerca-poltrone che da decenni signoreggiano senza merito, impermeabili al nostro disprezzo.
su: www.loraquotidiano.it, 29 gennaio 2015