Ragioniamo. Si accusa Renzi di volere aprire il terzo forno, alludendo alle tre diverse maggioranze per portare a termine le riforme, l’elezione del Presidente e la legislazione. Lo si accusa, fuori metafora, di incoerenza, di approfittare delle opportunità, di volere troppo. Mantenendoci entro la brutta metafora, mi chiedo e domando: quando il popolo ha fame, si sceglie un forno o si aprono tutti quelli che possono dare del pane?
Veniamo perciò alla vera domanda: questa nostra casta politica, in nome e per conto di chi poggia un volgare deretano su una ricca e dorata poltrona? Più precisamente, per il bene di chi? Se il dovere dei rappresentanti politici è la ricerca del bene comune, non trovo alcuna difficoltà ad approvare la strategia di Renzi che pur di fare le cose, in un paese che le dice ma le nega da decenni, costruisce di volta in volta la maggioranza di chi ci vuol stare. Di chi ci vuol stare a costruire quel particolare obiettivo (sperando ovviamente che si tratti sempre di provvedimenti mirati all’interesse collettivo).
L’accusa di essere un traditore, un leader ondivago, un opportunista, persino le critiche mascherate da acidi complimenti come quando gli si riconosce la capacità di cogliere l’attimo, di saltare sempre sul carro destinato a vincere, di saldare le alleanze di volta in volta più forti, non vedo come possano inficiare l’azione di capo del Governo dell’Italia contemporanea. Parliamo cioè di un paese ricco, ancora oggi, che da decenni ha “scelto” però di fare arricchire una oligarchia in parte nota e in parte sotterranea, un paese che da decenni non sceglie, non si schiera, non sta con nessuno, non scontenta nessuno e di fatto fa pagare il prezzo delle proprie politiche clientelari e dei propri interessi ad un popolo arreso, frustrato, disarmato, impaurito e persino, più recentemente, impoverito.
Le accuse dei deputati SEL, le rivendicazioni dell’NCD, le perplessità di tutti i cronisti e i commentatori che in questi giorni rigirano come un calzino le chiacchiere intorno all’elezione del Presidente, sono in realtà prive di fondamento. Ciascuno di loro, infatti, persegue quotidianamente il proprio interesse. E devo perciò sottolineare la disinvoltura con cui, in generale, tantissimi indegni onorevoli in questi vent’anni hanno imparato a farsi eleggere in un partito, transitare in un altro, approdare ad un altro ancora, fondarne poi uno proprio, e così via tradendo la fiducia e il mandato dei loro originari elettori.
L’Italia è un paese complesso e gli italiani sono altrettanto complessi, ma anche individualisti e spesso più spacconi che competenti. E tutti amiamo smodatamente parlare, scrivere, commentare, proprio come me in questo momento. Ma non si può tollerare questa etica da taschino, da sfoggiare alle serate danzanti, per cui ciò che quotidianamente fanno tutti ogni giorno per biechi interessi personali, sia poi motivo di accusa nei confronti di un giovane politico che finalmente sta tentando di spezzare barriere, scavalcare muri, abbattere recinzioni e tutto quel labirinto di impedimenti e vincoli che la politica italiana può vantare come unico concreto patrimonio della propria irresponsabile esistenza. Mi auguro che la ventosa energia del premier, rinforzata dal fervido entusiasmo degli altri giovani che lo coadiuvano al governo, si spinga in avanti con grandi balzi capaci di traghettare il paese in un altrove irriconoscibile rispetto alle desolate lande e alla mortifera palude in cui ci hanno imprigionato quarant’anni di demagogia, prepotenza, arroganza, viltà, incompetenza e protezionismo.
Qualunque sarà questo altrove, in quanto nuovo, non potrà essere peggio di quello in cui siamo impantanati. Perciò speriamo che il gioco delle Quirinalizie si concluda presto e che si torni a lavorare per le cose importanti che affrontino il problema della fame, del lavoro, della casa, della qualità della vita, della soglia dignitosa delle pensioni (tanto verso il basso quanto verso l’alto), del contrasto ai poteri forti, dell’emancipazione dalle banche, dai gruppi petroliferi, dalle finanziarie. Speriamo, soprattutto, che si torni a dare fiducia ai giovani attraverso la loro vera centralità in una scuola concretamente autonoma, la guerra ai baronaggi universitari, lo sterminio delle frodi che affossano il mondo del lavoro. Solo così l’Italia, tornerà il Bel Paese di una volta.
su: www.loraquotidiano.it, 31 gennaio 2015