La globalizzazione: concetto o carcinoma?

Della contemporaneità si registra una caratteristica sulla quale tutti concordano: la globalizzazione. È però singolare che tale definizione, assunta a “concetto” rappresentativo di un’epoca – la nostra – sia passata in giudicato senza alcuna reale discussione sul suo valore e, dunque, sulla sua rispondenza. Vorrei provarci seppure in via preliminare in vista di ulteriori riflessioni.


Il termine data, secondo gli specialisti, al 1956, ma è dagli inizi degli anni Ottanta che riceve grande fortuna ad opera soprattutto degli economisti sempre in cerca di qualcosa che dia spessore a una disciplina che rivendica un suo interstizio tra filosofia, sociologia, antropologia e matematica. Nei decenni precedenti gli Ottanta, il termine veniva adoperato in ambito psicologico per definire il processo conoscitivo infantile. Tutti noi, in sostanza, da bambini percepiamo inizialmente ogni cosa nel suo insieme e solo successivamente impariamo ad analizzarle e scomporle nei singoli elementi costitutivi.
Nella letteratura specialista del campo economico, invece, si trova una definizione che nel termine “globalizzazione” intravvede una tendenza all’integrazione degli scambi commerciali internazionali, incline alla crescente dipendenza dei singoli paesi, gli uni dagli altri.

L’etimologia della parola ci è però di aiuto per gli scopi di questo breve intervento. Globalizzazione è termine derivato, appartenente alla famiglia originata dai termini francesi globalité e global, entrambi, a loro volta, derivati di globe. Se quest’ultimo indica il globo, ovvero tutto lo spazio umano conosciuto, conoscibile e disponibile, globalità e globale, rispettivamente sostantivo ed aggettivo, indicano una caratteristica che riguarda l’intero globo, cioè tutta la terra e i suoi abitanti. È infine interessante osservare la mediazione operata dai matematici per i quali tale termine, proprio per via della sua caratteristica appena riferita, assume un significato grazie a cui ciò che è globale si riferisce all’intero spazio.
Integrando quindi la definizione economica da cui siamo partiti col contributo descritto, avremo che per globalizzazione si intende una tendenza all’integrazione degli scambi commerciali internazionali, tendente alla crescente dipendenza dei singoli paesi, gli uni dagli altri, entro l’intero spazio disponibile del globo terrestre.

L’aspetto però allarmante di questa breve analisi, è che la globalizzazione è un processo al quale siamo tutti assoggettati, dal quale tutti dipendiamo e che sostanzialmente indica uno stato di confusione assoluta. La disponibilità totale di tutto lo spazio esistente, la compresenza fisica e virtuale di ogni elemento del globo in ogni istante grazie ai processi di globalizzazione e agli strumenti tipici della globalità, di fatto pongono in essere una condizione simile a quella che si verrebbe a creare a casa vostra se concentraste tutto ciò che avete e tutte le persone che conoscete in un unico ambiente. In questo caso, è facile percepire la pericolosità del caos generato da tanta compresenza. Il fatto che la compresenza tipica della globalizzazione non sia necessariamente fisica ma per lo più virtuale, non modifica gli effetti pericolosi che si intravedono nel fenomeno, insidioso per le sue conseguenze sul piano concettuale e, dunque, per la capacità di agire sui modelli culturali che tutti noi assimiliamo e che poi determinano il nostro modo pensare e di giudicare.

Esiste una sottile, sotterranea relazione associativa tra il concetto di tutto facilmente disponibile qui e ora, tipico della globalizzazione, e il collegato desiderio di avere subito tutto ciò che ci piace. È come se il concetto della globalizzazione, ufficialmente approvato nella sua dimensione sociologica, agisse in quella antropologico – culturale collettiva operando modifiche anche nella dimensione psicologica individuale. Alla confusione esteriore, tipica del mondo globalizzato, corrisponde cioè il rischio di un disordine interiore tipico degli individui non più capaci di un’etica – cioè di una qualunque forma di ordine – in forza della quale scegliere cosa è giusto e cosa no, giudicare se una cosa è meritevole o no, distinguere se una cosa è alla nostra portata o no, capire le differenze esistenti tra fenomeni diversi. E mi pare di avere descritto gli aspetti salienti della società contemporanea tipica dei paesi avanzati, con particolare riguardo, soprattutto, a quel confuso e disordinato paese che è diventato l’Italia.
Il fatto che oggi non esista aspetto della nostra vita sociale immune da colpe di inefficienza organizzativa, disonestà, mancato riconoscimento del merito e tante altre, testimonia di una condizione di confusione ormai radicata, tale per cui ogni approccio operativo è fatalmente superficiale, ogni tentativo di riordino inevitabilmente foriero di nuova conflittualità, ogni ipotesi di progettualità ipotecata da interessi corporativi che hanno definitivamente disperso ogni valore comunitario e collettivo. Siamo cioè tutti figli di una dimensione dell’esistere che non ha trovato nella globalizzazione una nuova chiave della modernità. La globalizzazione è, al contrario, il rivelarsi di quel carcinoma sociale che è rappresentato dalla sparizione di ogni ordine, morale e non, e dall’instaurarsi di una dittatura della confusione che garantisce la sopravvivenza di piccole oligarchie e condanna ampie masse a forme di vita e sopravvivenza via via più sacrificate.

Il diffuso relativismo che proprio dagli anni Ottanta in poi si è diffuso nel mondo occidentale, ha dato un sostegno letale all’instaurarsi del fenomeno brevemente analizzato. Il grande delitto compiuto dal relativismo si cela dietro la nota domanda: ma che cos’è la verità? E la sua inevitabile collegata: ma chi detiene la verità? Popper sosteneva che proprio il «relativismo è uno dei tanti delitti degli intellettuali». Il suo punto di vista, che condivido pienamente, era basato sul metodo scientifico del quale, in questa discussione, è utile ricordare due caratteristiche:
1. la conoscenza è ricerca della verità;
2. la conoscenza non è ricerca di certezza.
E qui forse si spiega come mai della globalizzazione, così confortante per certi versi legati alla sua apparenza, si sia detto molto ma sempre in un ambito di accettazione incontrovertibile. Ma chi si rassegnerebbe a tenere un carcinoma sapendo di disporre della cura?
(articolo apparso nel gen 2012 su: www.nuovedissonanze.it).

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