Della superficialità

Tra i tanti disordini che rendono confuso il nostro Paese, ce n’è uno che meriterebbe un approfondimento. Mi riferisco a una nazionale tendenza alla superficialità che rende onerosi e forse impossibili i nostri sforzi di risanamento e i nostri sogni di recuperare posizioni di vanto e primato in Europa e nel mondo.


A partire dagli anni Ottanta si è assistito in Italia a un gigantesco impegno di addestramento alla superficialità perseguita capillarmente in ogni aspetto della vita sociale, accademica, professionale, lavorativa. Bene rappresentata da quel tipico adagio che istiga tutti a far finta di niente davanti a una prepotenza o a una mancanza, quello che seduce tutti nel torpore dell’inno nazionale del “non ci fa niente”. Se avessimo saputo capire che invece ci faceva qualcosa, che tra il rispetto di qualsiasi regola e la loro opportunistica elusione c’era la differenza tra l’essere e il non essere, o anche tra la qualità e la quantità, tra il merito e la colpa, oggi ci troveremmo in un’altra situazione, altra in senso culturale perché i cambiamenti forti non arrivano a forza di decreti o con i cambi di governo. I cambiamenti si preparano sapendo che richiedono tempi lunghi per divenire stabili e affidabili.
Quel che più mi preoccupa, però, è che per trent’anni abbiamo così intensamente, così pervasivamente, così volgarmente addestrato tutta la nazione alla superficialità che il lavoro della scuola è diventato marginale e, quel che è ancora peggio, – se peggio può esserci – irritante. Se si considera che la scuola è il laboratorio in cui inevitabilmente ogni società prepara il proprio futuro, se ne possono dedurre tristi e sconsolanti conseguenze che lascio all’intuizione di chi legge.
(articolo apparso nel nov 2011 su: www.ilvespro.it)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *