Sono nato negli anni Sessanta. e ho sempre fatto sport, come tanti della mia generazione. Si andava a faticare nelle piste, nei campi, nei boschi, nelle piscine, nelle palestre. Sempre con un tocco di fai da te, ciascuno di noi. Era il modo di andare vestiti che era fai da te. C’erano i pantaloncini corti, di due tipi: da atletica (sgambati e a vita alta) o da sport di squadra: pallacanestro, calcio, pallavolo (un po’ più lunghi e un po’ più bassi). C’erano le canottiere del basket e della corsa, poi tante magliette più o meno uguali. Chi aveva la fortuna di giocare in una squadra inserita in un campionato federale, non importa a che livello, spesso si gloriava di una divisa, solitamente una tuta più simile a un comodo pigiama che ad una di quelle meravigliose mise che si vedono oggi anche per le squadre di amici che a 50 anni giocano ancora a calcetto. Insomma, ai miei tempi si faceva sport in pantaloncini e maglietta e le situazioni particolari che richiedevano qualcosa di tecnico si riducevano alla necessità, per taluni sport, di un sospensorio o un reggiseno rinforzato.
Le cose sono cambiate. Non c’è sport che non abbia inventato il suo abbigliamento “tecnico”. Un tecnicismo, è chiaro, funzionale all’incremento delle vendite più che al raggiungimento di risultati impensabili. Con esagerazioni evidenti come nel caso del nuoto che ha permesso l’uso di costumi interi che praticamente consentivano un galleggiamento talmente forzato da avere completamente stravolto gli esiti di una intera olimpiade. Ricordate quanto duravano i record quando si nuotava col costumino e a torso nudo? Limitandoci alle Olimpiadi più recenti e alla gara simbolo dei 100 metri maschili, Matt Biondi aveva stabilito un record nel 1985, abbassato poi tre volte, ma invitto sino al 1994 con l’arrivo di Alxandr Popov; a sua volta durato fino al 2000 quando a Sidney si era affermato Pieter Van De Hoogenband che resiste fino al 2008. E poi? Poi tra il 2008 e 2009, quando impazza il nuovo abbigliamento tecnico, il record viene superato ben sette volte: Alain Bernard fissa due volte a marzo 2008 il nuovo record, Eamon Sullivan glielo ruba ad agosto ma due giorni dopo, durante la prima semfinale, Bernard se lo riprende senza sapere che, alla seconda semifinale, Sullivan si sarebbe imposto di nuovo con un tempo migliore di 15 centesimi. Bernard non si dà per vinto e ad aprile 2009 torna il numero uno, ma per poche settimane, già a luglio il brasiliano Cesar Cielo Filho stabilisce il nuovo record! Ricordo la rabbia per noi italiani, ancora orgogliosi del nostro Magnini che aveva fatto 48”11 ed era fuori dalla finale come primo degli esclusi. Lui che con 48”12 aveva vinto nel 2005, a petto nudo, i mondiali di Montreal, e con 48”43 aveva fatto il bis a Melbourne nel 2007.
Ecco, dunque, che siamo diventati tutti super eroi. Come si riconosce un super eroe? da cosa? ovvio, dal costume, che abbia o meno il mantello. Il costume del super eroe è, appunto, la sua cifra distintiva. Prima ancora che egli manifesti le sue doti e il suo potere, il super eroe si “mostra” non per quello che è dentro (nella formula narrativa, anzi, la parte umana e interiore è sempre protetta o nascosta) ma per come è fuori. Un po’ il vecchio e sdrucito refrain de “l’abito fa il monaco”, ma con la fondamentale differenza che nel detto nostrano ci si arrende ad un bluff, mentre nell’epopea dei super eroi la manifestazione esteriore del vestito è l’atto del disvelamento della forza del potere. C’è dietro un infinito mondo di usi e tradizioni che risalgono alla notte dei tempi e con diverse fogge coinvolgono tutte le culture tradizionali di ogni dove del globo terrestre. L’abito, la divisa come la maschera e il mascheramento, l’essere e l’apparire altro da sé, la finitezza umana e il desiderio di elevarsi verso quel mondo superumano dove tutte le culture hanno depositato il proprio immaginario, sotto forma di mito e di religione o di semplice credenza popolare. Insomma, stesse dinamiche nel tempo e nello spazio.
Vedo, nell’esasperazione dell’abbigliamento tecnico sportivo, la ricerca di un surrogato dell’abito del supereroe e, nello stesso tempo, un’eco ancestrale del mascheramento rituale. Come se, pur trascorrendo i secoli, qualcosa della finitezza umana continuasse ad agire per spingerci a superare i nostri limiti attraverso la forza del desiderio e dell’immaginazione. Perché per quanto possiamo desiderare di essere più grandi di quel che siamo, i limiti della natura sono invalicabili o lenti e difficili da superare, a piccolissime dosi. Solo, possiamo giocare sull’apparenza che è la dimensione del desiderio, del sogno, Queste cose che possono apparire fantasie o esagerazioni, sono invece note alle équipe di esperti del marketing commerciale che si nutrono della competenza delle scienze sociali per mettere in atto strategie di vendita che sempre più sottilmente forzino il comportamento “automico” (mi si consenta il neo logismo che allude alla figura degli automi) degli acquirenti. Quante volte è capitato a ciascuno di noi di recarsi a fare shopping per abbigliamento tecnico sportivo, pieno di buoni propositi poi rimasti a casa insieme a noi stessi? Inermi, noi e le cose comprate, e noi coi sensi di colpa per aver speso soldi in cose inutilizzate. Il fatto è che nel momento del godimento che ci proviene dall’acquisto, noi per un momento travestiamo noi stessi da super eroi, noi semi obesi che per un momento sentiamo il brivido di un reale e rapido dimagrimento, noi sedentari che per qualche ora ci crediamo capaci di sfidare il vento e le vertigini grazie a scarpe ultra leggere con elastan per salti di qualità!
La verità è tutt’altra, e cioè che siamo animali da sedia, obbligati da false scienze economiche a sostare per ore davanti a un computer, un telefono, una app, un videogioco. Limitare gli spostamenti nello spazio è uno dei comandamenti delle regole del potere, non riguarda solo i migranti che sono il momento più preoccupante per chi governa, riguarda anche gli stanziali che è bene restino a casa, si muovano solo con i pacchetti pre confezionati dalle agenzie di viaggio on line.
Quando, talvolta, diciamo ancora che “siamo nati liberi”, facciamo storia del passato, ricordiamoci, cioè, che da molto tempo non parliamo più di noi stessi.