Edipo re: alla ricerca dell’identità.

I grandi interrogativi dell’Umanità restano nel tempo. Ne sono una prova le tragedie greche la cui “classicità” sta, appunto, nel restare vigenti a prescindere dal tempo cronologico. E una domanda fondamentale: “chi sono io?” la pone l’Edipo re, di nuovo in scena al teatro greco di Siracusa.

La regia di Robert Carsen e la traduzione di Francesco Morosi sono sobrie, essenziali e lucide. Così l’exemplum di Edipo viene restituito con tutta la forza originaria. La sua storia è quella della separazione del corpo e dell’anima, racconta quella scissione tra personalità e identità che dalle nebbie del mito ritrova attualità nella contemporaneità segnata dall’incertezza dei destini individuali e collettivi, espressione viva e dolorosa della fragilità costante della condizione umana.

Non vi è salvezza da un destino segnato dal fato, dalla volontà divina che riduce la nostra corsa ad un tragitto che unisce la vita e la morte in cui la sola libertà dipende dalla consapevolezza che riusciamo ad avere di questa ineluttabilità. Siamo “gettati alla vita” diceva Heidegger. La tragedia di Edipo è assoluta, pura come la definì Aristotele che nel personaggio di Edipo non vedeva un uomo fuori dal comune ma l’esempio dell’Uomo. Ma questa assolutezza mi pare esprima la necessità esistenziale di attraversare la vita con consapevolezza di sé, una consapevolezza che però non si fondi su una cultura individualista, piuttosto in una visione della complessità della Vita in cui confluiscono l’uomo e l’ambiente, l’Io e l’Altro, quell’infinito tessuto relazionale che crea lo spazio e il tempo dell’Uomo.

Edipo re ci ricorda oggi, l’illusione di potersi sottrarre a un destino che è comune, ci ricorda che nessun uomo può ritenersi al di fuori dell’Umanità. Nell’attuale scenario mondiale che rigurgita di nazionalismi fuori tempo, di aggressioni velleitarie nelle loro pretese risarcitorie, di ideologismi che politicizzano differenze antropologicamente irrilevanti, Edipo re (con la minuscola) ci mette in guardia e ci chiama a quel sentimento comune che Morin definisce di Terra Patria. Si dice che in questa tragedia sia protagonista la Hybris, quel sentimento arrogante tipicamente umano di volontà di superamento di ogni limite. La glorificazione di questo concetto ha prodotto il colonialismo nella storia, la dittatura nella politica, la sperimentazione genetica nella scienza ed oggi si riversa nel primato dell’economia.

La vicenda di Edipo ci aiuta a recuperare la coscienza del limite come strumento di una identità sicura del senso della vita, sicura della sola dimensione che siamo capaci di produrre senza consumare nulla di ciò che ci circonda senza appartenerci, e che ci rende “unici” come dichiarano i monoteismi. In questo universo simbolico risiede la chiave del senso della vita, quella che inutilmente ci affanniamo a cercare in un altrove materiale e per ciò stesso, lontano dai confini con la nostra verità.