Lo Stato siamo noi? Una lettura delle recenti elezioni politiche

La congiuntura attuale lasciava presumere elezioni politiche in chiave PD. Il maggior partito della sinistra italiana poteva suonare una trionfale sinfonia in chiave di RE-nzi. Accontentiamoci di dire che le primarie lo hanno messo fuori, ma non facciamo finta di non sapere che altri meccanismi, come al solito sotterranei e miopi, lo hanno messo fuori dai giochi per effetto di una polemica interna accidiosa e ostile al rinnovamento. La musica ha preso quindi una chiave di BEH-rsani che ha esitato uno striminzito quanto inutile primo posto senza vittoria.

Non sarà vantaggioso chiedersi come sarebbero andate le cose e nessuno potrà dirne con certezza, ma certo è invece il fatto che resta il sospetto, forte, che Matteo Renzi con il suo incompreso aplomb liberista potesse guidare una vera vittoria della sinistra. Ormai è tardi. E il PD deve subire anche l’onta di essersi assicurato un premio di maggioranza eticamente scorretto in virtù di un risibile 0,4% di vantaggio, finendo col godere di un sistema, il porcellum, che aveva animato molte delle sue inconcludenti battaglie parlamentari.
L’analisi del voto dice alcune cose chiare. La prima: il PD è stato inadeguato nell’intercettare la domanda di cambiamento che il paese urla a gran voce ormai da molto tempo. Sono proprio gli elettori sfiduciati della sinistra che hanno garantito un successo abnorme al Movimento 5 stelle.
La seconda: l’Italia non è un Paese di brave persone. Nessuno può negare che ne esistano e nessuno può negare che Bersani sia una brava persona. Ma, come ha sottolineato il Direttore de La Stampa ieri sera a Ballarò, non basta. Aggiungo: è l’ennesima dimostrazione di quanto sia autoreferenziale la dichiarazione, sempre ripetuta dai politici di ogni blasone, secondo cui la maggioranza del paese è fatta di brave persone. Non è vero. Non lo è più da molto tempo, perché da decenni questo Paese addestra la sua gioventù a diventare più furba, intrigante, cattiva e sfaccendata di quanto non fossero i loro predecessori. Basta pensare al nulla che dagli anni Settanta in poi è stato fatto per la scuola, da chiunque abbia maneggiato i propri interessi, personali o di bottega, mascherandosi dietro la sceneggiata dell’azione di Governo. A conforto della scelta di Bersani si può solo dire che la sua idea di proporsi come persona per bene si è rivelata prematura. Dobbiamo prima rieducare, riabituare, un intero popolo al significato di espressioni come buon senso, spirito comunitario, bene collettivo, esempio, etc. per pensare ad una campagna elettorale in cui il valore dell’essere per bene può avere chance di seguito e di vittoria.
La terza: l’elettorato di centro-destra ha mantenuto le sue posizioni nel paese reale. Sommando i voti del PDL e della lista civica di Monti, che sostanzialmente raggruppano il cosiddetto elettorato di centro-destra, ci si accorge che hanno confermato un livello del 35% che non denuncia alcuna flessione. Vuol dire che una fetta rilevante della popolazione per qualche ragione, qualsiasi essa sia, è affezionata ai meccanismi e alle posizioni proposte e sostenute da un liberismo nonostante questo abbia preso una deriva affaristico-speculativa di macroscopica evidenza.
La quarta e ultima: gli italiani si confermano un popolo incline alla viltà più che al coraggio. Sebbene da ormai moltissimi anni dilaghi il malcontento nel Paese contro la corruzione dei politici e la loro bieca visione degli affari comuni, soltanto adesso hanno avuto cuore di votare per il Movimento 5 stelle, ora che l’onda di piena della rabbia collettiva garantiva un anonimato. Lo conferma l’insolito scarto tra le previsioni di voto e i risultati, che dimostra come gli intervistati dalle agenzie di sondaggio elettorale, abbiano spesso preferito tacere o negare il voto rivelato soltanto dalle urne. Confortati dal segreto dello scrutinio hanno liberato la propria stanchezza dello statu quo e la propria voglia di aria fresca.
Si dovrà ripartire da questa voglia di partecipazione che la gente ha espresso, ricordando a tutti che la politica non è quella cosa sporca e complicata che per quarant’anni ci hanno fatto credere gli ingordi del potere. La politica è questo stare assieme e fare le cose assieme, per il bene comune.
Agli imbecilli che in modo fraudolento avanzano dubbi sulle reali capacità dei tanti “nuovi” che in ogni formazione politica hanno sostituito gli antichi squali, basterebbe presentare foto e curriculum dei tanti parlamentari che in questi decenni hanno gozzovigliato a Montecitorio e Palazzo Madama intenti solo a ingrassare pancia e portafogli. Agli idioti che farneticano di una rischiosa complessità della macchina istituzionale, presenterei il conto degli sperperi consentiti da farraginose quanto inutili burocrazie montate ad arte come labirinti per far perdere le tracce degli avidi, dei ladri e dei colpevoli.
Lo Stato siamo noi? Delle due l’una: o chi lo ha ripetuto sempre in questi decenni mentiva oppure, se è vera, non è difficile da fare. Lo Stato, per ribadirlo con Calamandrei, siamo noi, anzi, è la sola cosa vera che ci sia rimasta e da cui ripartire.

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