Se non si perseguono fini politici, aperti o sotterranei, e si ragiona sugli equilibri istituzionali tra i diversi poteri dello Stato, allora nasce una riflessione che fa tesoro in modo costruttivo della bagarre politica che caratterizza l’Italia da alcuni anni ad ogni livello, persino quello locale. Si è infatti assistito a varie scandalose vicende che talvolta esitano in un senso, talaltra in opposta direzione e molte volte galleggiano in torbide e intermedie posizioni di attesa. Per esempio, sono stati arrestati per reati di varia natura politici di ogni ordine e grado, provenienti tanto dal potere legislativo quanto da quello esecutivo. E sono stati ammanettati anche giudici e magistrati che avevano violato il patto di onestà e trasparenza che, come i primi, tutti dovremmo rispettare operando nel consesso civico.
Ho tuttavia l’impressione che i “meccanismi” di autoregolamentazione di ciascuno dei tre poteri e l’equilibrio reciproco, mettano i diversi attori in condizioni differenti. Così, credo, esiste una soglia di inviolabilità e inattaccabilità che ha misura diversa a secondo che si tratti di un politico governativo di uno parlamentare o di un magistrato. Questa soglia, oggi, mi pare più solida in favore del potere giudiziario anche se sono i poteri legislativo ed esecutivo quelli che maggiormente occupano le pagine dei giornali con le loro appendici vergognose. Poiché nessuno che non voglia ingannare il prossimo può negare che gli uomini sono fallibili, è di tutta evidenza che un uomo può commettere reati in qualunque posizione si trovi, sia esso semplice cittadino o politico o magistrato. Dal che ne deduco, dando per scontato il generale giudizio popolare sui politici di ogni razza, che affermazioni apodittiche del tipo: le sentenze dei giudici vanno rispettate e non si discutono, siano condivisibili unicamente come affermazioni di principio teorico. Se invece divengono posizioni ideologiche o corporative, di difesa preconcetta dell’operato di un uomo, ancorché magistrato (e perciò teoricamente fallibile), allora gatta ci cova. Se una sentenza è ingiusta o è strumento che camuffa il perseguimento di fini illeciti, allora le sentenze dei giudici si devono discutere eccome. Il problema, però, è che non si può. E questo non va bene, sempre che ci si sforzi di mantenere il Paese in un’area a larghi tratti democratica (parlando di democrazia reale piuttosto che di mere esercitazioni teoretiche).
Astraendo dalle situazioni particolari dell’attualità ed evitando di farsi irretire dai giochi di due opposti fronti che manipolano l’immaginario collettivo per i rispettivi interessi di quartierino, resta l’urgenza di dar vita ad un ripensamento complessivo dell’architettura della nostra democrazia che patisce il mancato sviluppo di alcuni suoi istituti fondamentali ai quali era demandato il compito di mantenere democratica una repubblica che la storia faceva invecchiare. A questa vecchiezza da rinnovare senza tradimenti e senza occulti interessi dobbiamo pensare tutti noi cittadini, prendendo in mano il destino nostro e dei nostri figli e operando scelte che la politica inevitabilmente renderà contrapposte ma, vivaddio, questa è vitale e civile discussione. A patto che ciascuno di noi, nella rispettiva trincea, faccia tabula rasa di ogni nome che troppo ha spadroneggiato e troppo ha presenziato media e scranni. Occorre che il nostro consenso, in ogni casa di partito, selezioni rappresentanti fin qui di scarsa o nessuna visibilità e forze nuove ed inedite con cui irrorare il Parlamento, fucina di ogni cambiamento civile, di quella rinfrescante vitalità da cui possiamo attenderci, realisticamente, un cambiamento e dunque un mondo migliore. E poiché, come diceva Karl Popper, “ogni essere vivente ricerca un mondo migliore”, ciascuno decida intanto se essere un essere vivente…