Palermo delle 100 periferie

Le grandi città e il loro paradosso: vi confluiscono grandi masse di cittadini, ma la gran parte è emarginata. Metropoli e conurbazioni si trovano in tutto il mondo, essendo comune questo processo che aggruma le popolazioni nei centri urbani. Un insidioso squilibrio si crea dappertutto in termini di densità demografica così che ogni paese è afflitto dalla sperequazione tra le aree non urbane, dove gli spazi sono ampi, e le aree cittadine dove moltitudini di persone incattivite litigano anche con ferocia per contendersi spazi di pochi centimetri.


In questo sconfortante panorama Palermo occupa un posto di rilevo. Appesantita da una orografia montuosa, tutta la Sicilia sospinge le proprie genti a concentrarsi in folle caotiche. Gli spazi resi labirintici dalla storia delle città, tutte di antichissima origine, e dalle loro colpe sono terreno di conquista di privati prepotenti e testimonianza della fatica con cui gli enti comunali balbettano il loro tentativo di controllare il territorio. Mai un intervento di bonifica, di razionalizzazione che porti all’abbattimento di tuguri e cancelli abusivi, sempre in nome di una memoria ignorante e senza strumenti che spaccia per antico ciò che invece è soltanto vecchio.

Le città come la nostra, dunque, riescono ad avere aree di periferia persino al centro. Ed altre tutto intorno. Palermo, in fondo, è città delle cento periferie. Fate la prova, elencate i nomi dei quartieri, sciorinate i toponimi storici da Bandita a Tommaso Natale, da Baida al Borgo, citate i nuovi quartieri nati sotto maledizione di acronimo dal CEP allo ZEN, e via via, per cerchi concentrici, vi troverete residuali i quartieri Strasburgo e Libertà, vessillo di una borghesia locale nata miserevole.
Calcolate che il 90% della popolazione vive perciò in aree dove nessuna cura costante vi viene esercitata. In fondo, ad ogni cambio di sindaco si riasfalta solo via Libertà, per il decoro del quadrilatero istituzionale dove si muove quella classe dirigente per lo più composta di avidi straccioni, pavidi gregari e rari uomini di idee, non a caso lasciati soli, in periferia dei cuori e degli interessi forti. Non stupiamoci se il degrado e il vandalismo affogano la città in una melma maleodorante e orribile a vedersi. Non c’è amico straniero che venendo a trovarmi non osservi quanto sarebbe più bella Palermo se potesse lasciar vedere le sue bellezze per come sono, senza il deposito di abbandono, la sepoltura di immondizia, l’ipoteca dell’incuria, non mascherate, cioè, da oggetti sporchi e puzzolenti.

Occorre prendersi cura delle periferie, abituare la popolazione delle aree urbane emarginate ad un senso del bello che intanto li riguardi in prima persona e che li coinvolga nella gestione e cura. Occorre un piano degli interventi che si muova verso tutte le periferie promuovendo partecipazione dei cittadini e dei loro comitati. Non devo suggerire io strumenti come lo sconto sulla tassazione municipale in cambi di un servizio di manutenzione che privati cittadini e comitati potrebbero svolgere in aree vicine alle loro abitazioni. Il Comune sfoltirebbe il volume dei propri interventi di manutenzione ordinaria e i residenti avrebbero un vantaggi concreto ad occuparsi di quel bene comune avvertito come peste.
Sono convinto che col tempo, non molto tempo, quando gli emarginati come me, che vivo in una periferia far-west, si muoveranno verso il centro, nel tempo festivo del fine settimana, non vi trascineranno il proprio odio, rancore, disprezzo, voglia di rivalsa negativa, ma porteranno con sé la stessa attenzione per le aiuole fiorite e le panchine pulite che avranno imparato a custodire sotto la propria casa, per quanto lontana dal centro. Ci proviamo?

su: www.loraquotidiano.it, 2 dicembre 2014

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