L’odore di mafia

Nella mia vita ho offeso alcune persone. Come tutti del resto. Credo. Per quanto, sinceramente, non possa dire di essere un attaccabrighe. Gran parte di questi, infatti, erano persone “in odore di mafia”. Come moltissimi, da noi. Certo, trattandosi di mafia, dovrebbe dirsi “puzza” ma l’espressione è quella: odore di mafia. Si tratta di un alone con cui vengono marchiate persone diversissime: avocati, costruttori, commercianti, etc. E molti che vivono di politica, come si dice di questa categoria divenuta parassita senza idee e con molti appetiti.

L’odore di mafia si spande. Chi ne è avvolto non se ne dispiace, collabora piuttosto e corrobora. Ha interesse. La gente, umile al punto d’essere divenuta servile e ignara di ogni coraggio, si passa la voce ed arretra. È sufficiente una mezza frase, tra il detto e il non detto; un’allusione ben organizzata, seppure di comune sapienza, bagaglio genetico ormai. E l’effetto è presto ottenuto. Una vanteria di certe conoscenze… un’omonimia che aiuta… ed ecco che l’altro, incerto tra il sì e il no, inconsapevole di quanta verità o falsità possa stare dietro al chiacchiericcio e la vanteria, decide ce è più prudente dargli fiducia, credibilità, nel senso, ahimè, che convenga supporre una concreta pericolosità dell’auto referenziato, decide insomma che il suo interlocutore possiede le aderenze mafiose appena adombrate che – ed ecco la caduta definitiva – “meritano rispetto”. Tale è l’odore di mafia. Che aiuta. Aiuta ad ottenere sconti, gratuità, privilegi. Fino al momento del casuale e rarissimo disvelamento.
Specifico dell’odore di mafia e la sua stratificazione sociale, trasversale nella composizione, fatta di interessi, di conflitti e privilegi di vertiginosa bassezza che definiscono le aree di vita collettiva in cui l’odore di mafia esala i suoi veleni. Liti condominiali, furti di ciclomotori, reperimento di cellulari, acquisizione a fini privati di aree pubbliche, spostamento di discariche urbane abusive, affidamento di guardiania ai parcheggiatori abusivi e di abuso in abuso via dicendo.
Le persone che ho offeso nella mia vita appartengono a questa zona d’ombra in cui la completa disfatta del senso civico svela la propria natura di codardia e la “mafiosità”, intesa nella sua accezione di stile di comportamento culturalmente appreso, rivela la sua meschina natura di prepotenza, bluff e viltà. Per anni, prima che arrivassi, molti dei miei condomini hanno subito nelle lunghe ed inutili riunioni il vaticinio di un ometto armato di triste cognome e ventilate parentele con un costruttore malfattore tutelato da avvocati esperti e leggi inesperte, il quale sempre faceva pesare il proprio parere su ogni questione, con evidente spregio della coerenza di giudizio ed indecente oscillazione dell’interesse personale pro domo sua e/o degli accoliti più rapidi a inchinarsi alla supposta aura derivante dall’odore di mafia.
Audace come può essere un giovane educatore mosso da raziocinio e senso del giusto, presto mi avventurai in uno scontro verbale, stupefatto dell’indecisione degli altri condomini dilaniati dal desiderio di propendere per il giusto ma proni al timoroso conveniente. Sfuggito per pura ventura e brevità di presenza a quel lavorio costante e persuadente che a gente, chiacchierando, opera amplificando la portata di un’impostura – qual è spesso l’odore di mafia – e sopravvissuto perciò a quella “censura preventiva” che noti studiosi indivduarono su altri contenuti ma affermandone il valore di dinamica sempre e ovunque efficace, mi ritrovai ad alzare i toni del dibattito ringalluzzito dal neo ruolo di adulto autonomo e capo famiglia. Ancora ricordo il gelido silenzio in cui si amplificò una mia ultima e sfinita protesta: Ma se ragiona così, lei è un coglione!”
Ciò che mi ero risparmiato prima per casualità, mi fu forzatamente propinato dopo. Qualcuno smise di salutarmi; altri mi attesero la sera tardi per significarmi solidarietà e preoccupazione per la mia salute; altri ancora fecero allusioni sull’integrità futura della mia auto, del citofono, delle piante, dello scooter di mia moglie. Furono giorni di potente terrorismo psicologico. Divennero settimane di inquietudine e infine mesi di rapsodica agitazione. D’un tratto, fu chiaro che nulla era successo e, soprattutto, che nulla era successo! Uscirono allora tutti dal guscio della paura, dal buio della vigliaccheria, dalla penombra dell’ipocrisia. Ed io, rinsaldato nell’ardore giovanile dall’ardire etico e raziocinante.
Ricordo un velo di imbarazzo che rimase nello sguardo dei condomini per anni soggiogati da una paura tutta loro, rivelatasi inventata. Qualcuno, addirittura, mi serbò un’espressione di rimprovero che il tempo mi ha aiutato a comprendere: erano infastiditi d’essersi dovuti scoprire vili senza ragione. Chi mi elargì cenni di saluto con una riga di sorriso fu proprio il “coglione”, grato – mi piace immaginare – d’averlo liberato da quella puzza di mafioso a cui anch’egli, in diverso modo e con differenti esiti, s’era inchinato per indolenza e convenienza, trascinato da luoghi comuni ed abitudini virulente e letali ma pur sempre curabili, purché lo si voglia, con l’aspirina del coraggio senza cui non c’è il rispetto che nutre il senso civico e la Giustizia.

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