Non ci resta che piangere. Sembra che non ci resti altro da fare a giudicare dalla diffusa abitudine che rende pericolosi per la salute e l’igiene pubblica quelli che una troppo audace definizione chiama “servizi igienici”. Stiamo parlando dei “water closet” dei locali pubblici e di quelli privati ma aperti al pubblico e stiamo parlando del paese Italia che pare non fare differenza tra nord e sud quando si tratta di maleducazione e orgoglio cafone. Ma forse è anche vero che certe cose il destino se lo portano appresso.
La storia de La civiltà in bagno, per citare un noto studio sul tema dell’igiene, opera di Lawrence Wright e altri, racconta di una lunga evoluzione dei “sistemi a seduta con risciacquo continuo”. Una storia che riporta al tempo di Roma antica. Si dice che il water come lo conosciamo sia stato inventato da uno scozzese di Edimburgo, certo Alexander Cummings, matematico del Settecento.
Ma quello che più ci interessa è che risalendo al XVI secolo, pare che per noi occidentali si debba l’invenzione di questo strumento ad uno scrittore, quel John Harington che fu più noto per essere figlioccio della regina Elisabetta I d’Inghilterra piuttosto che per le sue opere come A New Discourse of a Stale Subject, (del 1596), dove incautamente fece del water una allegoria politica che la monarca, per sfortuna dell’autore, non apprezzò.
Sembra dunque esserci un nesso fondante tra water e scrittura. Il che lancia subito una nuova luce sul più diffuso dei giudizi che gli scrittori si sentono rivolgere quando sottopongono le proprie opere alla lettura dei critici. “Secondo me è da buttare nel cesso”, dunque, potrebbe nascondere una segreta ammirazione per opere che solo per errore di lettura sono state mandate al macero impedendone la pubblicazione. E persino il diffuso giudizio di molti lettori, “fa cacare”, sembrerebbe riabilitare opere che nel tempo hanno sofferto di discriminazione. In questa prospettiva, i romanzi più letti e quelli più lodati dalla critica, così distanti dalla civiltà del bagno di cui discutiamo, sarebbero soltanto operette sopravvalutate.
C’è un altro aspetto che pare confermare il nesso inscindibile tra water e mondo della scrittura: l’abitudine a scrivere sui muri e tutto ciò che costituisce il piccolo mondo chiuso intorno ad un water. Il florilegio di scritte murali, la pioggia di numeri di telefono e sconcezze degne di una narrativa pornografica ingiustamente relegata ai margini della letteratura, non sono altro che il frutto del richiamo alla scrittura che inevitabilmente la presenza di un water scatena nei nostri animi. Tanto gli uomini, in posizione di attenti a gambe aperte, intenti a mirare agli angoli adiacenti al water, quanto le donne, in posizione semi all’indiana, intente a restare in una porzione di cielo anteriore al water, non appena hanno risolto l’affare idraulico che li conduce nelle pubbliche toilette, ecco che presi da ispirazione traggono penne e pennarelli e danno sfogo a un impulso letterario di cui ignorano la musa. Com’è vero che più d’ogni altra cosa sfugge alla nostra comprensione ciò che giace inerme davanti ai nostri occhi… Verrebbe da dire Non ci resta che piangere, proprio come il titolo di quel film dove Troisi e Benigni, caduti indietro nel tempo, si dannavano senza successo per reinventare il water a causa della festosa e sempre attuale abitudine medievale di scaricare dalle finestre i liquami personali.
Alla tentazione narrativa non sfuggono neanche i tenutari di water in luoghi pubblici o in pubblici esercizi. Con diverso approccio, essi pure cedono alla tentazione letteraria ed ogni volta che la realtà li sorprende a pulire e smacchiare ciò che la più ripugnante fantasia non osa immaginare, ecco che con collaborativo spirito creativo inventano motti e calembour da appendere ai muri nel convincimento che tali memento indurranno una inibizione dello splendore letterario che giornalmente si trovano nei bagni pubblici. Qui, l’inventiva popolare non ha confini e si trovano opere degne di Marziale come di Oscar Wilde. Sfortunatamente, tali pregiate tavole vengono generalmente affisse alle spalle dei water, ignorando che la popolazione femminile o simil-femminile offre le terga a quei cartelli e dunque tardano a diventare consistenti i successi che affacciano timidamente in questi luoghi, prima che l’abitudine riprenda il sopravvento.
Se non si tratta di una ennesima bufala della jungla del giornalismo, pare che una decina di anni fa sia stato ritrovato il water su cui, pare ancora, Lutero avrebbe scritto le sue 95 tesi. I non addetti riconducono l’aneddoto a una costipazione cronica del noto personaggio. Oggi sappiamo invece che senza il water Lutero non avrebbe potuto scrivere nulla di significativo. Non è un caso che ogni principio e disciplina morale siano stati mandati a cacare nell’età contemporanea. Nel prendere congedo dai miei lettori, dunque, non mi resta che augurarmi che venga buttato nel cesso anche questo articolo, magari lo stesso dove in questi anni sono finiti i classici come Dostojevski o Pirandello, ormai sorpassati dalla Teologia di Celentano o dal Diario della vagina di Melissa. Perché in fondo, non ci resta che piangere.