Il giudice del (non)lavoro

Un giudice del lavoro che opera in Molise ha emesso una sentenza secondo cui le docenti della scuola possono godere dei sei giorni di ferie previsti dal contratto come “possibili” durante il periodo didattico. È stato accolto il ricorso di una insegnante sostenuta dal sindacato GILDA, che si era vista rifiutare dal dirigente tale opportunità in ragione dei vincoli che sempre lo stesso contratto prevede, ovvero la possibilità di sostituire la docente senza costi aggiuntivi di supplenza.

 

Ragioniamo. È intanto singolare che un giudice –  che, è bene sottolinearlo, gode ogni anno di 51 giorni di ferie senza che vi sia eguale trattamento per i giudici del resto del mondo – senta il dovere di “garantire” l’ennesimo motivo per non lavorare a dei lavoratori che il lavoro c’è l’hanno ma non ci tengono più di tanto finché è intoccabile la loro situazione di dipendenti pubblici. Soprattutto in un paese come il nostro che non riesce a “garantire” il diritto costituzionale al lavoro. Sic! Contraddizioni italiane. E forse non è il caso di entrare nel merito dell’efficienza lavorativa dei giudici del Molise che, tra le venti regioni italiane, vanta il più imbarazzante e monumentale arretrato di lavoro accumulato per esempio dal tribunale amministrativo, giusto quello dove “opera” il giudice cantore della sentenza in oggetto. In fondo, anche se di segno diabolico, questa sarebbe pur sempre una forma di coerenza… virtù desueta dalle nostre parti e nei nostri tempi.
Proseguiamo. La sentenza viene strombazzata dal sindacato che l’ha sponsorizzata come una vittoria definitiva. Sorvolando sul tenore millantatorio dell’incauto entusiasmo dei vertici regionali di quella organizzazione (quanto meno occorrerebbe attendere un pronunciamento di Corte d’Appello), non possiamo non osservare come tale battaglia sia l’ennesima dimostrazione di come proprio le organizzazioni sindacali non siano più in grado di gestire responsabilmente il loro ruolo a cui la nostra democrazia deve, storicamente, un debito di riconoscenza. Il sopravanzare dei bisogni degli adulti in un mondo, quello scolastico, finalizzato anzitutto a coprire i bisogni dei minori, lascia un’amarezza profonda a quanti nella scuola vedono anzitutto una missione, spesso carica di sacrifici, per la tutela dei diritti dei minori. Come non comprendere che ogni diritto all’assenza dal lavoro da parte degli adulti comporta una violazione dei diritti dei minori alla loro presenza? Soprattutto in un paese come il nostro iper garantista e dotato di una legislazione infestata capricciosamente da prerogative di categoria che di continuo collidono coi diritti essenziali della collettività.
La considerazione è ancora più allarmante visto che si discute della categoria degli educatori, di coloro, cioè, che dovrebbero sapere discernere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, il possibile dal riprovevole. Si comprende allora come mai la scuola finisca con l’addestrare le giovani generazioni ai medesimi difetti che la società accusa a parole ma non sa poi correggere con provvedimenti concreti. Ecco il cane che si morde la coda, il grande male dell’Italia.
Va infine ricordato – ma non coi modi burleschi con cui viene rivendicato da chi canta vittoria per quella sentenza – che la garanzia costituzionale delle ferie ha uno scopo ben preciso:  Le ferie si configurano come un diritto soggettivo irrinunciabile che soddisfa allesigenza, costituzionalmente protetta, di garantire, anche nellinteresse dellamministrazione, lintegrità psicofisica del dipendente contro il logorio conseguente alla prestazione del servizio per un certo periodo di tempo (art. 36 della Costituzione, Consiglio di Stato- cfr. parere del 13.6.1966, n. 338). Ora non si comprende come il giudice del lavoro del tribunale del Molise abbia potuto lasciarsi sfuggire il contesto specifico e particolare del mondo scolastico che annualmente prevede “periodi di tempo” distribuiti abbondantemente durante l’anno solare per tutelare “lintegrità psicofisica del dipendente” oggetto delle giuste preoccupazioni della Carta Costituente. L’impegno dei docenti inizia al primo di settembre con ritmi abbastanza leggeri e prosegue a metà dello stesso mese con l’inizio delle attività didattiche. Per quanto siano logoranti, e in effetti lo sono, arriva presto una pausa di due settimane in occasione del Natale, quando ogni altro lavoratore non scolastico può al massimo fare vacanza due o tre giorni intorno al Natale e al Capodanno. Seguono altri tre mesi di lavoro e giunge una settimana circa di vacanza per Pasqua. Un paio di mesi ancora e arriva la fine della scuola, fatta eccezione per chi è impegnato con gli esami e per chi docente non è ed è al lavoro anche durante l’estate. Non si dimentichi, però, che esistono altre vacanze per i lavoratori della scuola ma in particolare per i docenti, dato che gli uffici non possono essere chiusi ogni volta che si sospende l’attività didattica. Mi riferisco ai giorni di vacanza derivanti dal calcolo aritmetico che ogni Collegio docenti fa a settembre quando, conteggiati i giorni di scuola compresi tra l’inizio e la fine dell’anno, li riduce a 200 per effetto di una diffusa ed errata interpretazione della norma che statuiva in non meno di 200 i giorni di scuola necessari per rendere valido l’anno dal punto di vista della responsabilità civile degli operatori di ogni singolo istituto. E  poiché normalmente i giorni risultano circa 210, ecco che emergono altri dieci giorni di vacanza di cui i docenti, anche quelli della GILDA, godono senza dover chiedere niente a nessuno.
Facendo due calcoli approssimativi, viene fuori che mediamente, di fatto, i docenti godono ogni anno di circa 70 giorni di ferie esclusi festivi e giorni liberi (per contratto il docente lavora cinque giorni alla settimana). Ovviamente non includo nel conteggio i mille motivi per cui èpossibile assentarsi per altri bisogni.
Alla luce di quanto detto, appaiono quanto meno poco equilibrate se non opache le ragioni che hanno indotto il giudice del lavoro del tribunale del Molise a farsi conoscere per un provvedimento come quello di cui discutiamo e i cui effetti sarebbero devastanti per la disastrata e disordinata scuola italiana, soprattutto per quella popolazione di minori che sempre meno ha motivi per riconoscere negli adulti una adeguata guida morale e spirituale.

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