D’Alia, l’assenteismo pubblico e i soliti… Casini

Il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha emanato a marzo “Disposizioni urgenti” di razionalizzazione del regime che consente le assenze del personale per visite specialistiche e terapie. Scopo dichiarato: “contrastare il fenomeno dell’assenteismo nelle amministrazioni” pubbliche. Analizziamolo.

Pur restando invariato il regime di giustificazione delle assenze (a totale libertà del dipendente, con oneri di verifica sul datore di lavoro ma col vincolo dell’episodicità imposto dai controlli “a campione”), la novità di rilevo è che le assenze per visite, terapie ed esami diagnostici non è più consentito come assenza per malattia (teoricamente infinite). Per tale ragione i dipendenti dovranno fare ricorso ai permessi per motivi personali (tre giorni all’anno) o ai permessi brevi e orari (quelli sottoposti a recupero).
Si impone, inoltre, che l’attestazione di presenza, redatta dal medico, riporti “la qualifica e la sottoscrizione del soggetto che la redige, l’indicazione del medico e/o struttura presso cui si è svolta la prestazione, il giorno, l’orario di entrata e di uscita del dipendente dalla struttura sanitaria erogante” e si sottolinea ancora che “l’attestazione di presenza non è una certificazione di malattia”.
La circolare, n. 2 del 2014, a firma del Ministro Gianpiero D’Alia, chiude sollecitando i dirigenti delle amministrazioni a “richiedere dichiarazioni dettagliate e circostanziate”. Di quali dettagli e circostanze si parla? Si tratterebbe di documentare il chi, che cosa, dove, quando, come e perché. Vediamoli. Il chi e il dove: La scelta del medico e/o struttura sanitaria, se pubblica o privata, è autonoma del dipendente. Il che cosa: esame o terapia li valuta il medico. Il come e il perché: Trattandosi di situazioni che entrano nella sfera della salute personale, è ovvio che non si devono fornire dettagli né sul tipo di diagnosi né sulla terapia. Il quando: La scelta del giorno in cui effettuare la visita o terapia è una variabile su cui qualche influenza possono avere, in totale autonomia, il dipendente che la richiede e/o il medico che effettuerà la visita e/o terapia.
Legittimo chiedersi dunque, cosa ci sia di vero dietro questo rigore solo apparente. Ma c’è di più. La stessa nota non manca di precisare che “Per il caso di concomitanza tra l’espletamento di visite specialistiche, l’effettuazione di terapie od esami diagnostici e la situazione di incapacità lavorativa, trovano applicazione le ordinarie regole sulla giustificazione dell’assenza per malattia”. In altri termini, crediamo, sarà sufficiente accusare un mal di testa durante la visita specialistica e farsi somministrare una pillolina, corredare l’attestazione di presenza di un certificato per emicrania e il gioco è fatto, l’assenza illimitata garantita di nuovo.
Il vulnus che a nostro giudizio sta in bell’evidenza nella citata circolare, non è un caso unico, accade spesso. Quello che ci pare intollerabile è l’ingenuità con cui si continua a emanare norme facendo leva su quel “buon senso” e quella “buona educazione” che dovrebbero informare le azioni di tutti, ivi compresi i pubblici dipendenti. Ma come si fa in questa Italia di oggi a confidare ancora su valori così ampiamente smarriti? Signor Ministro, ci saranno sempre i soliti casini…

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