Di Alcesti e dell’equilibrio riuscito

Alcesti, nella 52esima edizione delle rappresentazioni classiche di Siracusa, è la tragedia da non perdere. Porta a compimento entrambi i risultati previsti da Euripide: la tragedia iniziale e il lieto fine. Aspetti apparentemente contrastanti, sapientemente accostati dall’autore che pongono non pochi problemi a quanti si cimentano nella riproposta.

Il regista, Cesare Lievi, alla sua prima esperienza in questa spettacolare cornice, centra l’obiettivo. Strategica la scelta di agire la bella scenografia, opera di Luigi Perego, che rappresenta la casa di Admeto, in un gioco riuscito di rimandi col proscenio, così da creare visivamente un effetto di flashback o contemporaneità estremamente efficaci per lo svolgersi della vicenda. Il pubblico è di continuo incuriosito e sollecitato a tenere desta l’attenzione, alla ricerca di dettagli e anticipazioni. Brava Galatea Ranzi nel ruolo di Alcesti, ben misurata nel suo oscillare tra una vita che declina ed una morte che si fa strada nel suo destino. Proprio questo equilibrio suggerisce di guardare oltre quella centralità femminile imposta dal titolo della tragedia, suggerendo piuttosto di vedere in profondità la vicenda escatologica di Admeto, corroso da un così dirompente dubbio di sé che lo riscatta dell’infamia di codardia. Per quanto neofita del genere, si rivela ottimo davvero Danilo Nigrelli nei panni di un Admeto dilaniato dal tentativo di mantenere un legame tra i suoi volti, il pubblico e il privato, l’intimo e l’ufficiale, la ragione e il sentimento. Unico suo breve cedimento, perdonabile, l’incipit del pathos con cui la tragedia vira nel dramma al momento della riconsegna di Alcesti dal mondo dell’Ade, recuperata da un Eracle, interpretato con disinvolta esperienza, dal bravo Stefano Santospago che non perde un accento nel pur impegnativo cambio di toni – dal tragico all’umoristico, dal drammatico al farsesco – previsto per la sua parte.
Ma quello che mi piace sottolineare è la maestria con cui la regia ha saputo ideare il coro maschile che in questo spettacolo ha una potenza come raramente mi è capitato di vedere. Potente, compatto, armonioso, intraprendente, delicato e commosso, questo gruppo di giovani ha eseguito coreografie e movimenti con forza elegante e precisione militare. Sempre presente, ha caratterizzato lo spazio e sottolineato il tempo dell’azione scenica, con un protagonismo discreto e sapiente che ha esaltato, quasi un humus sentimentale, le performance degli attori. Anche i costumi – pure questi del bravo Luigi Perego – hanno contribuito alla perfetta riuscita dello spettacolo, conferendo un misurato alone epico.
 

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