Le tasse non si pagano…

In Italia le tasse non si pagano. Nei due sensi: da un lato c’è una evasione diffusa, creativa, bizzarra, pedante, scrupolosa comunque gigantesca; dall’altra c’è una oppressione sui “soliti noti” per cui non si può sostenere che le tasse si pagano, piuttosto si soffrono. In Italia, dunque, le tasse si evadono o si soffrono.

Insidiosa tra tutte, mi pare la tassazione IRPEF che è mirata sulle persone fisiche e viene definita “diretta, personale, progressiva e generale”. Insomma, lo Stato ti ha preso di mira e non ti molla. Il senso mi pare questo. Se hai dei soldi, se guadagni qualcosa, lo Stato ne pretende una parte. Che sarebbe “cosa buona e giusta” se sopravvivesse il “senso della misura” che dovrebbe regolare i rapporti tra Stato e cittadini e tra i cittadini stessi. Si è invece affermata nella nostra cultura una istanza della voracità che rende incontenibile il fenomeno della corruzione, autentica tracotanza che spinge i corrotti a prelevare per sé l’80% delle somme che (non gli appartengono e) dovrebbero invece gestire, disinteressandosi del tutto del prodotto (strada o ponte o scuola o ospedale etc.) che però determina la qualità della vita degli altri. Di ingordigia stiamo morendo.
Le attuali aliquote IRPEF hanno una progressione incomprensibile se è vero quel che giornali, inchieste e politica ci dicono: che questo paese ha un folto gruppo di ricchi che detiene la ricchezza ed una classe media precipitata a livello di classe disagiata. I primi, l’1%, detengono il 15% del bottino italiano; gli ultimi, il 40% della popolazione, si dispera lottando per la cruenta spartizione di un misero 5%. In mezzo, dunque, una 59% che si organizza col restante 80%. Vengono fuori tre fasce di ricchezza cioè tre fasce di gente apparentemente uguale, tutti con dei capelli (calvi si diventa…) e belle guance rosee, mani e piedi, speranze e vizi e tutto il corredo di umanità che dovrebbe renderci tutti uguali. Ma ad ogni 1% di popolazione corrisponde un X% differente. Vediamo la tabella costruita su dati OCSE 2014:
 
Ricchi, 1%: percentuale di concentrazione della ricchezza 15%
Né ricchi né poveri, 59%: percentuale di concentrazione della ricchezza 1,3%
Poveri (assoluti e relativi), 40%: percentuale di concentrazione della ricchezza 0,1%
 
Questo è un dato sociologico. Se si fa riferimento ai dati ISTAT ricavati dalle dichiarazioni dei redditi, le cose cambiano e il paese appare sbilanciato diversamente. Secondo i dati di Oxfam, un’organizzazione non governativa che analizza le case della povertà, il divario della ricchezza in Italia ha avuto ritmi tripli (33%) rispetto agli altri paesi europei (12%) nel periodo che va dagli anni ’80 (quelli del delirio yuppista e del gioco delle tre carte con cui Craxi simboleggiò la lunga stagione della prima Repubblica). Insomma stando a queste informazioni sappiamo che i 60 milioni di italiani sono così ripartiti:
 
Ricchi, 1%: ovvero 600.000 persone che possono comprare tutto quello che vogliono e che hanno più denaro di quanto possano spendere
Né ricchi né poveri, 59%: ovvero 36.400.000 persone che devono fare sempre i conti per arrivare a fine mese
Poveri (assoluti e relativi), 40%, 23.000.000 di persone che tirano a campare.
 
Su questi numeri si gioca la partita delle aliquote IRPEF al vaglio del Governo per un progetto di riforma. Suggerisco di considerare la proposta: 
I scaglione: da 8.000 a 15.000 al 27,5%
II scaglione: da 15.000 a 28.000 al 31,5%
III scaglione: da 28.000 a infinito 42,5%
 
Chiunque sia italiano da almeno vent’anni comprende subito che le cifre sulla ricchezza non corrispondono a quelle sulla dichiarazione dei redditi. Capisce quindi che il prelevamento IRPEF non ridistribuisce ricchezza ma torna a inveire su chi lavora del suo e del suo deve campare. 
Precedentemente le fasce erano più numerose:
I scaglione: da 6.000 a 15.000 al 23%
II scaglione: da 15.000 a 28.000 al 27%
III scaglione: da 28.000 a 55.000 38%
IV scaglione: da 55.000 a 75.000 41%
V scaglione: da 75.000 a infinito 43%.
 
In parole povere, chi in un anno guadagnava 15.000 euro subiva un carico fiscale di 3.450 euro. Con la riforma sopporterà 4.050 euro di tassazione. Chi guadagnava fino a 28.000 euro subiva un carico fiscale di 6.960 euro. Con la riforma sopporterà 8.120 euro di tassazione. A cosa può servire l’allargamento della platea di contribuenti con maggiori oneri proprio nelle fasce più basse? È il tentativo debole e ingiusto di circuire gli evasori che, nonostante la loro ricchezza, dichiarano redditi inferiori (con la complicità di legulei e consulenti). Lo Stato, cioè, dichiara l’incapacità di scovarli, togliere loro il malloppo, punirli e dare l’esempio e bastona tutti i più disagiati nel tentativo di “pescare” qualche soldo in più da chi se li nasconde (con l’aiuto di una legislazione garantista e corruttibile).
Credo sia tempo di pensare tutti a fare sentire la nostra voce per aiutare chi ci governa a trovare il bandolo di una matassa ormai smarrito da tempo, come si è smarrito il nostro Bel Paese.

 

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