Statali, raggiunto un accordo Governo-sindacati per la produttività e il merito

I confederati firmano con l’opposizione della cgil. Ragioniamo: quelli che appartengono alla mia generazione, nati nei Sessanta, sanno ancora che esiste una divisione di colore politico tra i sindacati confederati. La lunga e alterna storia dell’unità sindacale dei cosiddetti confederati, cioè le organizzazioni maggioritarie, ha invece prodotto una diffusa sensazione che accomuna le tre note sigle in un’unica e indistinta organizzazione di “ufficiale” tutela dei diritti dei lavoratori. Il risultato, tuttavia, è stato la sovrapposizione di una generale sfiducia nel sindacato reso ancor più anonimo da una divisione, o piuttosto articolazione interna nelle tre storiche sigle, la cui ragione ha finito col coincidere con la generica sfiducia nelle rappresentanze politiche e sindacali, accomunate da un interesse prioritario per il mantenimento dei propri privilegi piuttosto che dall’azione concreta in vantaggio dei propri iscritti. Tutte le rilevazioni di opinione confermano questo sconfortante dato di sfiducia.

Va però detto a favore della generale sfiducia che alla creazione di questo clima hanno contribuito lunghe e numerose rivendicazioni sindacali che hanno mortificato l’impegno e il valore individuali per dare spazio ad una politica della mediocrità con premio a pioggia che ha portato il Paese a raggiungere stili di lavoro e ritmi di produttività tra i peggiori al mondo. Si aggiunga che il sistema di garanzie, questa volta individuali di ciascun lavoratore, ha via via demolito ogni residuo di attenzione, preoccupazione e priorità per il bene collettivo, letteralmente sbranato dal concorso contemporaneo e inoppugnabile di ogni sacrosanto diritto individuale. Il Paese, dunque, si trova schiacciato dagli effetti di una delirante politica di ricerca del consenso elettorale, tanto dei partiti quanto dei sindacati, che per un’idea machista del potere ha portato avanti forme di contrattazione sociale che hanno infilato il Paese nel cul de sac di un individualismo senza ritorno. L’assoluta incapacità di pensare al bene collettivo da parte di ogni ex lavoratore ben aggrappato al suo poco faticoso ruolo di rappresentante politico o sindacale, così ricco di privilegi e prebende, crea l’impasse da cui non sappiamo uscire.
Tornando al recente patto per il merito e la produttività, perché la cgil non ha firmato? Se dipendesse dal tentativo di rivendicare un profilo proprio, se fosse una scelta legata alle radici storico politiche di quel sindacato, se ne apprezzerebbe – a prescindere se sia d’accordo o meno – il valore. Ma una dichiarazione come quella rilasciata a giustificazione della mancata firma, quella frase che accusa i fratelli confederati di “correre in soccorso di un Governo un po’ claudicante” è la classica buccia di banana che fa scivolare e alza il velo sulle reali ragioni del rifiuto. E sono ragioni politiche legate al contrasto contro un Governo che in questo momento vede unirsi soggetti diversi accomunati tutti dal solo obiettivo di mandare via una sola persona. Come se, rimosso il presidente del consiglio, il Paese fosse in grado di riprendersi miracolosamente. Questa è truffa. Il Paese paga gli errori di una classe dirigente che ancora resta a cavallo dopo 50 anni. I pretendenti al trono, i cosiddetti nuovi, sono tutti soggetti la cui vecchiezza anagrafica e politica è tale da fare ridere anche il più serio degli uomini. La verità ha probabilmente a che fare – questo suggerisce l’esperienza locale – con accordi sotterranei tra partiti e sindacati (solo in Italia tanti sindacalisti fanno il salto in Parlamento…), accordi per i quali la cgil ha preferito supportare un’azione di spodestamento guidata dai partiti della sinistra e del centro mettendo da parte la riflessione sugli interessi dei lavoratori. Altrimenti dovrebbe spiegare perché si ostina a tenere i bravi lavoratori, che pure esistono, nella condizione di essere giornalmente umiliati dagli scansafatiche e dagli inetti che grazie al meccanismo delle raccomandazioni ricoprono ruoli per i quali non sono preparati pur ottenendo lo stesso stipendio di chi tira avanti la baracca. In tal senso, l’azione degli altri confederati appare decisamente più seria e di rottura col passato, laddove l’apparente controtendenza della cgil si rivela soltanto una forma sotterranea di realismo vecchia maniera.

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