Su Repubblica Palermo di ieri, 15 marzo 2014, un articolo senza firma riportava il seguente titolo: “Il bambino ha guardato negli occhi i killer”.
Il sottotitolo e il pezzo spiegano che si tratta di un preadolescente che ha avuto la disgrazia di trovarsi in auto con un uomo al quale due giovani sicari hanno sparato uccidendolo. L’uomo, fratello di un boss mafioso condannato all’ergastolo, al primo sparo ha aperto la portiera e ha cercato di fuggire. Inutilmente. Il ragazzino lo ha imitato, ma i primi due colpi esplosi da fuori lo hanno miracolosamente evitato. Ce n’è abbastanza per premurarsi di lasciare in pace questo ragazzino qualunque sia la sfortunata genealogia che lo ha costretto ad essere esposto a simili accadimenti.
Dovendo procedere alle necessarie indagini, comprendo pure che, con l’ausilio di uno psicologo, il ragazzino possa e debba essere sentito dagli inquirenti. Ma quello che trovo intollerabile e persino lascivo, è che un quotidiano di questa autorevolezza non si preoccupi di pensare, prevedere e contenere le conseguenze di una tale notizia. Il ragazzo è stato risparmiato perché l’obiettivo era un altro. Ma diffondendo questa informazione, che il bambino ha visto i killer negli occhi, che verrà interrogato, che dunque può riconoscere gli assassini dell’uomo ucciso, cosa può accadere? Mi pare evidente che d’ora in poi sarà in pericolo di vita. E ancora di più, come non capire che in futuro qualunque killer per non correre rischi fredderà non solo le vittime designate ma anche ogni altro individuo che in quel momento fosse casualmente presente? perché bambino o no, sarà ormai visto come un testimone scomodo. Può darsi che io sia troppo ansioso, ma sinceramente questa prudenza al giornale non sarebbe costata nulla se solo si fossero posti il problema, cioè se avessero pensato eticamente.