Femminicidio, nessun alibi

Non proverò a contarle. Le vittime di femminicidio del 2014. Ogni donna uccisa è un intero universo che si spegne. Le statistiche dicono cose impressionanti e qualunque sia il criterio da cui prendono spunto, troppo vasto è il numero di donne uccise ogni anno, generalmente da qualcuno che si pensava tra gli affetti più intimi e rassicuranti.

Si è appena spenta la vita di una giovane catanese di trent’anni, arrestato il fidanzato senegalese. Ce n’è abbastanza per dare fuoco alle polveri del solito dibattito nazionale diviso tra pietismo opaco e giustizialismo insidioso. Con le solite divisioni tra chi osserva e giudica e chi vive in prima persona quel dramma che è la vita quotidiana dei senza privilegi. Resta la verità, solida come pietra, di una ragazza che aveva dei sogni, degli obiettivi, dei desideri semplici e che oggi non respira più, non apre gli occhi per vedere il bel sole che illumina la via Etnea, non sorride più e non può mangiare un gelato. Quali che siano le ragioni, il suo compagno si è preso il diritto di annullarle vita, futuro ed affetti.

Quando succedono queste cose mi chiedo, ma nel momento in cui nella mente di un uomo sorge l’idea o l’istinto omicida, possibile che contemporaneamente non sorga nessun freno inibitorio? Nessuna pedagogica paura delle conseguenze? La censura preventiva che scatta istintivamente nei casi di pregiudizio sociale, come mai non fa neanche un cenno quando si tratta di togliere la vita ad un essere umano?

E la risposta, purtroppo è semplice. Da troppo tempo abbiamo rotto ogni argine etico, da troppo tempo abbiamo sostenuto battaglie ipocrite il cui fine era distruggere quella sensibilità morale che faceva da freno e regolatore delle relazioni personali. Quello che abbiamo messo su è un mondo caotico, confuso, disordinato, abbagliato da eccezionali risultati di progresso visibili in ogni campo ma tutti sganciati da una logica di sistema relazionale che faceva delle nostre città, comunità di persone. L’individualismo che da più parti lamentiamo, non è che l’evidenza di un processo sociale che ha depauperato la dimensione affettiva e sentimentale, quella che rendeva possibili concetti come quello di rispetto, amor proprio, cura degli altri e ha invece sostenuto la dimensione economica dove vigono i principi dell’usa e getta, dello spreco, della competizione senza regole. Il riflesso di questo stato di cose lo leggo in questa incapacità di dare valore alla vita umana, questa viltà senza fondo di uomini-ominicchi che prevalgono sulle donne con facile e codarda violenza.

La sola cosa che ci si deve augurare, è che quel sistema italiano che mi rifiuto di chiamare Giustizia, quel sistema che può solo dirsi della Legge, col suo carico di cecità e insensatezza, per una volta non si mostri prono alla sete demagogica dei tanti pifferai che in questo paese vivono allegramente. Mi auguro che nel giudizio di questo efferato ed insulso femminicidio, non spuntino retoriche razziste da purgare con sconti di pena basati sul colore della pelle, mi auguro che non affaccino chiacchiere pseudo progressiste che chiedano sconti di pena basati sullo svantaggio socio-economico del migrante, spero non compaiano paradossi risarcitori fondati su principi di civiltà giuridica che forse esistono su Marte ma non certo in questa Italia del degrado e della corruzione. Spero, soprattutto, che non si dimentichi il volto di Veronica Valenti, che non si seppellisca la sua storia personale seppure breve e questo senza sapere chi fosse perché per uccidere nessuna ragione è mai veramente buona.

su www.loraquotidiano.it, 29 ottobre 2014

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