Dalla Spending Review alla Relaxing Review

È di questi tempi recenti la questione relativa alla diminuzione dei giorni di ferie dei magistrati. 51 giorni sarebbero troppi. Ma facendo il confronto con altre categorie di pubblici dipendenti si ripete il gioco perverso che attacca una categoria e ne salva nell’ombra un’altra, mantenendo una iniquità che produce rabbia sociale. Prendiamo ad esempio il mondo della scuola. I lavoratori inquadrati nei ruoli non docenti sono soggetti alla normativa nota. Per i docenti, invece, il contratto di categoria pone un vincolo severo: la presenza di attività didattica. In sostanza, ogni volta che gli alunni sono assenti, vige il principio che essi non debbano lavorare, fatti salvi alcuni obblighi funzionali all’attività didattica. Ci si riferisce a compiti ritenuti accessori e gestiti come tali persino dal CCNL, sebbene importanti per il loro valore propedeutico e tutoriale. In altri termini, si tratta di ore lavorative che dipendono dalla serietà professionale individuale, ma facilmente eludibili se si ha a cuore solo il proprio tornaconto.
Facciamo due conti nell’ambito del primo ciclo, con leggere approssimazioni per evitare tecnicismi che non cambierebbero la sostanza del discorso. L’anno scolastico ha una durata calcolata in ore. La cifra media è 1000, che corrisponde al vecchio limite minimo dei 200 giorni di servizio didattico. Inutile dire che se tra la data d’inizio e di fine dell’anno ci sono più di 200 giorni, le scuole possono sospendere le lezioni per i giorni eccedenti. Le ragioni dovrebbero essere di scelta pedagogica, o strategia educativa ma solitamente dipendono dalla lettura del calendario che di per sé suggerisce ponti per piccole vacanze. Ai 200 giorni di lezione, vanno aggiunti circa 10 giorni (nella migliore delle ipotesi) di attività preparatorie da svolgersi a settembre, prima dell’avvio della didattica. Al termine delle lezioni, a causa dell’incombere degli esami che, per come sono concepiti, coinvolgono soltanto alcuni docenti, ai numeri prima indicati si possono aggiungere circa 5 giorni relativi alle fasi di scrutinio e Collegio finale. A questo punto, tirando le somme, calcoliamo che i docenti non coinvolti negli esami chiudono l’anno di lavoro con 215 giorni lavorativi (se non ci sono assenze). Aggiungendo ai 215 le domeniche che esulano dal conteggio e qualche festività extra che, per approssimazione, calcoliamo insieme pari a 60 giorni, otteniamo un totale di 275 giorni. Vista la durata dell’anno solare, otteniamo un periodo, che possiamo considerare di ferie, pari a 85 giorni. Per i docenti coinvolti invece (ma non tutti gli anni) nelle fasi di esame, evenienza che può comportare al massimo altri 15 giorni di lavoro, si ottiene un totale di giorni lavorativi pari a 230 e che, con i 60 di cui sopra, sommano 290 giorni per un calcolo complessivo di 75 giorni di ferie.

Chi lavora nella scuola sa quanto sia logorante il mestiere di insegnante e come siano benedetti questi periodi di astensione dal lavoro e personalmente considero una sana ambizione lavorare di meno purché la qualità professionale sia elevata. Ma, appunto, intanto occorrerebbe creare un sistema di valutazione che dimostrasse che tanti giorni di ferie sono ben meritati e inoltre, accanto alla odiata Spending review, andrebbe fatto un lavoro, di Relaxing review che invece di prendere di mira una singola categoria sapesse razionalizzare il rapporto tra privilegi/prerogative e risultati in un’ottica di maggiore crescita del Paese. Dovremmo parlarne con equità.

su: www.loraquotidiano.it, 16 novembre 2014

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