La Patria sotterranea

Il procurato nazionale antimafia, Franco Roberti, denuncia una situazione ricorrente in Italia, lo svuotamento dei suoi poteri di direzione. Il legislatore, infatti, in questo frangente reso rischioso dal pericolo del terrorismo, si è affrettato a togliergli “il potere di disporre dei servizi centrali di polizia giudiziaria in materia di misure di prevenzione antimafia” (Corriere della Sera di oggi). La domanda più ovvia sarebbe: e che c’entra? Infatti non c’entra per niente, ma si è usato un alibi, la contingenza del terrorismo globale, per privare il procuratore antimafia degli strumenti per fare antimafia. A me pare scandaloso, ma non stupisce.


Si tratta dell’ennesimo intervento che di fatto svuota di potere una figura apicale. Dinamica che in Italia, paese sovraffollato di generali e dirigenti, è costante come la corruzione. E forse il sospetto che le due cose siano collegate non è peregrino. Ad ogni livello si disegnano quadri dirigenti che poi vengono privati degli strumenti per dirigere, senza che mai si tolgano, sulla carta almeno, le responsabilità connesse al ruolo dirigenziale. Persino noi dirigenti scolastici siamo stati pomposamente inquadrati nei ruoli dirigenziali ministeriali, gravati da un cumulo infinito e senza pari di oneri e responsabilità, ma privati degli strumenti tipici della dirigenza. L’autonomia della scuola, assurta al rango costituzionale per pura finzione istituzionale, non ha alcuna concretezza e i dirigenti delle scuole gestiscono un ibrido sempre esposto al rischio dell’errore carico di conseguenze amministrative e civile (talvolta persino penali).
Si ha cioè l’impressione che in questa Italia, apparentemente così confusa e disordinata, esista una regia sotterranea che invece manovra e gestisce sapientemente il caos in cui tutti noi viviamo. L’esercito di dirigenti che costituisce la struttura dell’apparato statale, sarebbe in buona sostanza una riserva di capri espiatori pronti all’uso, secondo le esigenze di volta in volta determinate dalle azioni sotterranee di chi manovra le leve del Paese. È davvero difficile ormai credere alla favola degli interessi espliciti che impedirebbero di sanare situazioni inaccettabili. Il vitalizio a favore dei politici, per esempio, persino di quelli già condannati anche per reati di collaborazione con la mafia, in qualunque parte del mondo sarebbe stato tagliato sic et simpliciter. In Italia si ricorre a procedure garantiste che sempre chiamano in causa una corte costituzionale la cui trasparenza e legittimità i cittadini mettono seriamente in dubbio quando boccia l’idea di un taglio ai vitalizi. Eppure lo ha fatto, sostenendo che ci sono profili di illegittimità costituzionale che hanno suscitato la rabbia e l’ilarità del Presidente del Senato, Piero Grasso, che si batte per farli abolire prima possibile. Se è davvero un problema solo formale, allora si metta mano a una riforma costituzionale che riveda questo limite assoluto che impedisce ogni retroattività di qualsiasi legge. Sinceramente vedrei bene la retroattività di una legge che intendesse recuperare il mal tolto o gli eccessivi benefici che hanno determinato l’impoverimento del paese. Non avrei esitazioni a chiedere ai parlamentari, una volta ridotti i loro emolumenti di un sonoro 40%, di restituire, magari a rate, la stessa percentuale calcolata sugli emolumenti dei cinque anni precedenti, a partire comunque almeno dal 2008, anno di inizio della crisi generale. Intanto, di rinvio in rinvio, chi ha la rappresentanza dello Stato non ha affatto condiviso in questi anni di crisi le difficoltà sopportate da tutti noi semplici cittadini, fatta eccezione per i grillini che di spontanea volontà si sono detratti una quota forse persino eccessiva delle loro spettanze per investirli in azioni di sostegno ai privati.
Allargando la prospettiva, assume allora un significato diverso la generale ed incomprensibile disorganizzazione dello Stato. Forse non assicurare la benzina alle auto della polizia è frutto di una inanità con secondi fini. Forse tollerare costi gestionali differenti della sanità nelle varie regioni obbedisce ad un disegno preciso. Forse garantire eccessivamente ogni forma di illegalità, attraverso una legislazione solo a chiacchiere apice di civiltà, serve a proteggere un diffuso esercito di picciotti sempre pronti a servire una patria sotterranea. Insomma, l’impressione del cittadino normale è che se si perseguisse il bene comune, a questa Italia basterebbe un anno di tagli nei posti giusti e di recuperi nelle tasche piene per rimettere il Paese in testa alle classifiche mondiali. Ma evidentemente tra questo dire e questo fare c’è di mezzo un mare sconosciuto le cui ragioni, forse, conosceranno i nostri nipoti attraverso i libri di storia. Mentre a noi, contemporanei, resta la sofferenza quotidiana di una inettitudine generale che nasconde una inconfessabile prepotenza. Così, la domanda sorge spontanea: qual è la vera Patria? Quella che raccontiamo nelle scuole, quella che i cittadini onesti credono di difendere o quella sotterranea di una casta invisibile?

 

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