La scuola è una realtà complessa. Si tratta di un’affermazione diffusissima e sempre presente nei discorsi di chi se ne occupa come operatore, di chi riveste ruoli istituzionali e politici. Temo, tuttavia, che si tratti quasi sempre di un modo improprio di esprimersi, nel senso che l’aggettivazione “complessa” è semplicemente adoperata come sinonimo di “complicata”.
Che la scuola sia una realtà complicata è sotto gli occhi di tutti ed è perciò affermazione facilmente condivisibile. Sebbene a complicarla siano intervenute opere ed omissioni legate a interessi variegati e non sempre manifesti. La scuola, come dimensione operativa della vita sociale, ha assorbito per statuto molte delle spinte devianti conosciute dalle società moderne sotto l’impulso dei cambiamenti culturali ed economici che via via hanno conferito un nuovo volto alla modernità. Si ha cioè l’impressione che mentre in passato la scuola ha guidato – e così ancora accade in alcune parti del mondo – i cambiamenti che poi hanno invaso la società, dal Sessantotto in poi essa abbia perso la centralità che aveva per divenire periferia di un agire sociale che ha spostato il suo baricentro presso altre strutture ed organizzazioni. Sarà certamente responsabilità delle classi dirigenti che si sono succedute da allora in poi (in Italia questa storia è facilmente identificabile con i processi di disgregazione del monopolio democristiano, la bolla dei governi a conduzione pluripartitica e la relativa falsa economia basata su regole non scritte di sotterranea connivenza, la crisi della Prima Repubblica e la difficile e mai terminata gestazione della Seconda Repubblica ancorata al peso degli antichi vizi da cui non riesce a liberarsi). Ma è anche responsabilità della popolazione che si è lasciata irretire in una spirale di progressiva perdita di contenuti, competenza e tensione morale che ha reso la popolazione generalmente superficiale, meno istruita e conseguentemente meno dotata di senso critico e personalità (fatte salve le loro subdole forme imitative, l’opinionismo senza frontiere e l’individualismo da reality show con cui lo strapotere dei media umilia la condizione umana con la complicità delle vittime).
Di tutto questo, la scuola patisce un’eco pesante e invadente, come accade alla terraferma per effetto di uno tsunami. Ovviamente il ritrarsi delle acque, dopo la forza d’urto dell’onda gigante, ha ritmi lenti trattandosi di fenomeni culturali e sociali. Ci sono voluti decenni per comprendere che la scuola doveva tornare al centro della progettazione e della programmazione di governo, ma siamo ancora ben lontani dal recupero di una posizione di centralità che ormai è perduta nell’immaginario collettivo. La scuola, piuttosto, è una parentesi temporale in cui prevalgono interessi adulti di varia natura, sia degli operatori che vi lavorano che dei genitori ormai sempre all’affannosa ricerca di supporti e sostituti, di ausili e protesi per i propri compiti e doveri familiari. In questo orizzonte straziante, in cui la scena è pervasa dalla questione docente, in cui resta clamorosa la vacuità del concetto governativo di “centralità dell’alunno”, i Dirigenti scolastici sono soltanto un alibi sgradito ma necessario. Servono al Ministero per recitare la parte di chi vuole il cambiamento per nascondere un costante ed immorale nanismo progettuale; servono ai sindacati che non hanno lo spessore per superare la logica della guerra sociale e abbandonare principi immorali come il Divide et impera; servono ai genitori che della scuola hanno capito quasi niente a parte la pretesa di servire da parcheggio unita all’iperbolica rivendicazione di livelli di preparazione che per sé non hanno mai desiderato, servi del principio immorale del “due pesi e due misure”; servono ai docenti che preferiscono un nemico facile da identificare piuttosto che sottoporsi ad una valutazione che stani quelli che non sono all’altezza, asserviti al principio immorale della difesa tout court della categoria più numerosa di tutto il comparto statale. Sarebbe come pretendere che persino le/i Dirigenti scolastici, un centesimo delle/i docenti, fossero tutti eccellenti.
Davanti a un panorama complesso, quello che vedo oggi è disarmante nella stessa identica maniera del passato, senza soluzione di continuità. Vedo segnali modesti di una agitazione della categoria, che i sindacati sostengono con la leggerezza delle ipotesi di comodo. Un vago ribellismo inconcludente, una vaga consapevolezza governativa del malumore sociale, una vaga accondiscendenza dei sindacati sempre troppo presi da altro, ed una scuola che continua a cambiare e rimodulare assetti, strategie, norme, procedure, iniziative con la velocità dei sogni infantili, variegati ed assurdi. Davanti alla complessità che ci circonda vedo un grandioso gioco delle parti che spegne ogni sussulto di vitalità con il refrain delle promesse dovute e sine die.
Ai colleghi e alle colleghe che come me vivono questa condizione professionale rappresentativa della insipienza governativa di ogni colore politico ma anche della cattiva indifferenza di tutto il comparto della dirigenza pubblica, ricordo un semplice dato. Per la retribuzione di posizione e di risultato lo Stato riserva due miliardi e mezzo ogni anno. Per noi ne accantona però solo un minima parte, 150 milioni. Distribuiti tra i circa 8000 presidi, danno un ammontare di circa 18.500 euro. I restanti due miliardi e trecentocinquanta milioni, per i circa 60.000 dirigenti restanti (esclusi i medici), producono invece un ammontare più che doppio, poco più di 39.000 euro. Se l’ammontare fosse distribuito senza figli e figliastri, tutti avremmo circa 35.000 euro. L’eterna questione della perequazione sarebbe risolta e persino l’immorale eccessiva retribuzione dell’alta dirigenza italiana, che non ha pari nel mondo, riceverebbe un piccolo livellamento, accettabile persino da chi è abituato alla cupidigia dopo decenni di privilegio. La domanda finale è: conviene continuare a piegarsi ai sempre nuovi oneri lavorativi (NEV, Commissioni di concorso, Nuclei di ambito, etc.) o si deve ormai pensare a fare battaglia per la vita con le sole proprie risorse? E a quanti volgessero il solito pensiero ai sindacati tradizionali, suggerisco di tenerli come l’aviazione, che non arriva mai in tempo quando si sta in trincea sotto il fuoco nemico e che, addirittura, talvolta, quando finalmente arriva, spara sulle proprie linee perché non ha capito niente del campo di battaglia!
E in appena due giorni 130 dirigenti scolastici dell Isola aderiscono alla protesta lanciata dal collega Giampiero Finocchiaro, a capo del l istituto comprensivo Laura Lanza di Carini, in provincia di Palermo.