Vino rosso contro l’Alzheimer

C’è da riflettere. Un gruppo di ricerca italiano ha scoperto dove risiede l’origine di uno dei mali che più fa paura: l’Alzheimer. Una malattia che comporta una odiosa frammentazione, un penoso smarrimento dell’identità che colpisce tanti anziani (prima o poi tutti diventiamo anziani). Improvvisamente comincia uno scivolamento della coscienza che sempre più si allontana dal sé e dagli altri per rifugiarsi in un limbo acquoso che aritmicamente cambia confini ed approdi, sempre precari e temporanei. Una patologica palingenesi all’incontrario che approda ad una nebulosa entropica in cui niente ha più un posto assegnato ed ogni riferimento svanisce.

Da sempre si ritiene, comprensibilmente, che l’origine di tale degenerazione risieda in quell’area cerebrale che sappiamo essere deputata alla memoria. Tanto ci colpisce il suo sintomo più fastidioso, la perdita di memoria. Ovviamente, cosa siamo o cosa possiamo essere privi o fuori dalla storia? fuori dalla storia di noi stessi, della nostra famiglia, della nostra vita ed esperienza. Nient’altro che un buco nero. Perciò questa malattia spaventa così tanto e tanto rende penosa e sacrificata la vita di chi si trova ad assistere un parente colpito da Alzheimer. 

Ora, però, i ricercatori italiani sostengono che si è commesso un errore. Abbagliati dal sintomo si è ipotizzato che la gestazione del male risiedesse in un luogo sbagliato di quell’universo ancora da esplorare che è la mente umana. Non l’ippocampo, tradizionalmente custode delle cellule della memoria, ma l’area tegmentale ventrale, quella preposta ai cambiamenti d’umore. L’équipe medica coordinata da Marcello D’Amelio, associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, ritiene infatti, risultati di laboratorio alla mano, che la perdita dell’identità dei malati di Alzheimer sia da ricondurre alla morte dei neuroni presenti nell’area cerebrale collegata ai disturbi d’umore. In questo senso, la depressione, evento inevitabile nei malati di Alzheimer, non sarebbe affatto esito patologico quanto piuttosto sintomo predittivo del processo degenerativo. 

E qui mi è venuto da pensare. Perché l’idea di una malattia che eroda ilc cervello, l’ippocampo, le cellule della memoria, è pur sempre un’idea compatibile con il senso che diamo alla malattia in genere. Il concetto di malattia si basa su un assunto introiettato fin dalla nascita per cui noi siamo degli interi, i nostri organi sono degli interi, ogni nostro meccanismo e funzione è un intero. La malattia è un incidente che ad un certo punto e per certe cause, provoca una deminutio, un impoverimento di quell’intero che, per effetto della malattia, si assottiglia, poco o tanto, a volte con la cura può essere reintegrato in tutto o in parte, altre volte cura o non cura l’elemento si esaurisce e questo, spesso, spiega il sopraggiungere della morte. Un vuoto che si fa spazio poco a poco o tutto d’un colpo. Un vuoto che inghiotte l’intero.

Ma questa scoperta ci spinge a pensare differentemente. Sospinge in noi l’idea che tutti gli interi di cui siamo fatti, fisici o funzionali: il cuore, il sangue, il respiro, le braccia, il naso, i seni, la deambulazione, il fegato, il cervello, l’udito, etc. etc. non sono sguardi parziali gettati sul nostro essere nel mondo. Che l’umore sia invece principio regolatore esalta la ricerca di una forza spirituale che il liberismo speculativo nel quale siamo precipitati ha fatto fuori per esercitare sulle masse un controllo egemonico. La cura dell’umore ha a che fare con la propria capacità di sentirsi in armonia col mondo, a prescindere dalle difficoltà oggettive e lontano dalle tentazioni dialettiche di una demagogia affaristica che fa credere che il denaro aiuti la felicità. La storia è ricca di esempi che dimostrano il contrario, eppure siamo tutti prigionieri di questa ipocrisia subliminale spacciata per saggezza pratica. 

Aspettiamoci dunque una impennata costante ed inarrestabile di malati di Alzheimer, perché questo mondo che abbiamo messo su, così ingiusto e cialtrone, così individualista e pezzente, così truffaldino e incompetente, spinge intere masse di individui a desiderare le stesse stupide cose, molte della quali irraggiungibili perché la ricchezza da decenni si concentra nelle mani di pochi in tutto il mondo e sono spariti ovunque gli idealismi ridistribuitivi che offrivano almeno una speranza concreta come i bei sogni. 

Cosa fare, dunque, per diminuire le possibilità di essere colpiti dall’Alzheimer? Se le ricerche verranno ulteriormente confermate, se cioè l’umore si rivelerà origine e motore di questa forma di doloroso oblio, allora la sola cosa che possiamo fare è esercitare la gioia, rigettare violenza e rabbia, nutrirsi di sincerità e voglia di fare le cose insieme agli altri, donare e donarsi, cercare nella gioia degli altri il senso della propria vita, seguire le orme di chi è meglio di noi per emulare non per vantarsi né per invidiare, praticare l’umiltà col sorriso e sorridere della prepotenza come della vanità, immuni al loro veleno. E ogni tanto, se non siete costretti a guidare, beveteci sopra un bel sorso di rosso italiano che fa sempre buon sangue.

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