Proviamo a dirci qualche verità sulla scuola…

Immaginate di essere titolari di uno studio legale. Siete in procinto di seguire una causa importante. Prendete uno studente laureato in legge e lo mandate in tribunale a nome dello studio.

Oppure: il vostro studio ingegneristico riceve un appalto per la progettazione e costruzione di un ospedale. Prendete un laureato in ingegneria, seppure con 110 e lode, gli affidate progettazione e costruzione dell’ospedale.

Lo fareste? eppure c’è chi lo ha fatto per decenni coi vostri figli. Sono importanti come una causa e un ospedale? o valgono di meno i vostri figli? Perché per decenni c’è stato un accordo tra le parti sociali che ha permesso a semplici laureati di mettere mano alla mente dei nostri figli, al loro stile di apprendimento, al loro futuro in una parola. Parliamo di centinaia di migliaia di docenti selezionati con procedure da fabbrica di prodotti di massa. Per decine di anni i soli che avevano una preparazione specifica in materia di pedagogia, metodologia didattica, psicologia e dintorni erano i laureati in filosofia e lettere. L’enorme platea di laureati in tante discipline inseriti nelle scuole per gestire il futuro dei vostri figli non aveva la più pallida idea di nessuna delle tecniche di insegnamento-apprendimento. Tutti avviati con l’idea che avrebbero fatto pratica, dando per scontato che il “materiale umano” dei primi anni era sacrificabile per dargli tempo di imparare il mestiere. E non si dimentichi che fino al 2002 nella scuola elementare si diventava maestre a soli 18 anni col diplomino della scuola magistrale… Perché non si può fare il praticone in tribunale mentre a scuola sì è potuto quasi fino a oggi?

I risultati sono davanti agli occhi di tutti. Qualcuno lamenterà, indignato, che tutti i docenti sono eccellenti. È falso. Lo sanno bene quelli davvero bravi (che per fortuna esistono, sebbene per puro caso) che si sobbarcano il lavoro dei meno bravi (per lo più intoccabili). Lo dice anche la legge dei grandi numeri. Una categoria così grande non può che avere un elevato numero di inadatti al mestiere, come, ovviamente, deve avere un numero elevato di bravi. Stesse percentuali che tra gli avvocati e gli idraulici o tra i giudici e gli autisti. Nessuna categoria può essere eccellente in toto come qualcuno pretende, meno che mai la sola categoria che in Italia conta settecentomila lavoratori col medesimo profilo professionale. E, se si guarda senza stupide distinzioni a tutti i lavoratori della scuola, compresi dirigenti, bidelli, amministrativi, ci avviciniamo al milione di persone.

Un altro esempio. Siete titolari di una azienda complessa. Trattate materia delicata per la quale sono richieste competenze specifiche di settore e di management. Uno che ha fatto per anni un altro lavoro, vi chiede quell’incarico. Rifiutate però vi viene imposto da un giudice e da un politico che decidono che basta aver presentato la domanda. Come reagireste? Perché questa è diventata la modalità più diffusa per selezionare i dirigenti scolastici. Mi fermo qui perché sono entrambi lavori che ho svolto e svolgo, ma il discorso vale anche per i bidelli, il personale amministrativo delle segreterie scolastiche, i direttori dei servizi amministrativi per la stragrande maggioranza privi di una laurea in economia come richiederebbe il loro ruolo. Certo c’è anche il problema dei selezionatori, dei concorsi etc., certo ci sono molti esempi (per fortuna) di dirigenti scolastici mirabili, professionisti che valgono dieci volte la retribuzione che percepiscono, ma resta il fatto che accade per caso e che negli ultimi anni chiunque abbia fatto domanda ad un concorso da dirigente scolastico, che abbia vinto o perso, se ha fatto ricorso è stato immesso in ruolo. Con buona pace del profilo manageriale immaginato dal legislatore, o di quello da sceriffo immaginato da docenti e sindacati. Urgeva coprire i vuoti di organico, diminuire il fenomeno delle reggenze. Come se, per coprire i vuoti di organico dei tribunali, decidessero di inviare a fare il giudice chiunque abbia fatto una domanda seguita da ricorso.

La scuola è un contenitore enorme di persone selezionate senza criterio dove la presenza di bravi, che ovviamente ci sono, è del tutto casuale e indipendente dall’azione di Governo. Che, invece, ha usato la scuola per gestire politiche del lavoro mirate a creare forme di assistenzialismo sociale. Persino l’ultima serie di assunzioni è stata fatta con questo criterio imposto dalla contrattazione sociale e sotto l’urgenza di non incorrere nelle sanzioni previste dalla normativa europea per i precari effettivamente sfruttati per troppo tempo. Il mondo della scuola è assordato dalla contrattazione dei diritti degli adulti, un frastuono tale che dei diritti degli alunni non ci si occupa che marginalmente e sempre secondariamente ove non contrastino con i diritti dei lavoratori della scuola. 

Certamente qualcuno salterà sulla sedia per queste affermazioni, qualcun altro suggerirà di tacere. Ma intanto abbiamo prodotto generazioni di giovani insofferenti alla scuola e all’istruzione, giovani che appena si trovano in altre condizioni esprimono il meglio di sé e non perché prima hanno studiato a scuola – con vanagloria autoreferenziale talvolta lo si sostiene – ma proprio per il contrario, perché se ne sono andati via. Lo confermano tutti i dati prestazionali. 

Tra i paesi con cui il nostro si confronta, c’è la Finlandia. Tutto il mondo plaude al loro livello di gestione dell’istruzione. Strano a dirsi, però, da loro non copiamo niente. Loro selezionano solo i migliori docenti, solo ai migliori permettono di maneggiare le menti e il futuro dei loro figli. Che mi pare una forma concreta di rispetto per i diritti dell’infanzia. Da loro si comincia a fare scuola a sette anni, noi e altri paesi siamo indaffarati a promuovere gli anticipi solo perché non sappiamo organizzare l’assistenza all’infanzia e alle famiglie. La loro istruzione, che dunque inizia un anno dopo, dura dodici anni. I giovani escono a diciotto anni. Per ridurre la nostra, che dura tredici anni, progettiamo e sperimentiamo di sforbiciare un anno delle superiori senza mettere mano a una revisione dell’architettura di ordini e gradi affidando ai docenti, quelli di cui parlavamo prima, la rielaborazione di percorsi che debbano ridurre i tempi di apprendimento del medesimo materiale. Quanti di voi hanno tra i propri ricordi la professoressa che lamenta di non essere riuscita a finire il programma? O davvero qualcuno crede che fare uscire a diciassette anni i nostri alunni favorirà l’ingresso nel mondo del lavoro? Per caso da qualche parte si fa una corsa per conquistare un posto di lavoro e quindi conta partire prima degli altri?

La Finlandia è l’unico paese che ha adottato, recentemente, la lezione di Edgar Morin che da anni propugna una scuola che abbatta i muri delle discipline per favorire un approccio trasversale che faccia comprendere la complessità che ruota intorno ad ogni tema della conoscenza. In Italia, a dispetto dell’autonomia che arranca dal 1997 per affermarsi a spizzichi e bocconi, se una scuola decide di promuovere lo spagnolo perché offre maggiore successo formativo ai suoi alunni, non può farlo perché il suo primo obbligo è mantenere, per esempio, la cattedra di francese di una professoressa che non può perdere la sede di assegnazione. 

Cosa resta infine? Aspettare che i principi recentemente introdotti, esauriti gli interessi che stanno ancora promuovendo deroghe, possano finalmente avviare un processo virtuoso. Calcolando gli effetti degli ultimi interventi, si può stimare nel 2040 l’inizio di una nuova fase, di maggiore qualità, della scuola italiana. Significa che anche i figli dei miei figli troveranno una scuola inadeguata e, forse, solo la generazione successiva comincerà a vedere nascere la buona scuola. Sempre ammesso che si esca dal paradosso per cui chi dovrebbe salvare la scuola, i politici, la progetta e la riforma, mentre chi la dovrebbe progettare e riformare, tecnici e lavoratori dell’educazione, la salvano col loro personale, malpagato ed encomiabile impegno quotidiano. 

Giampiero Finocchiaro, La scuola di chi, Saladino editore, Palermo 2016:

http://www.carlosaladinoeditore.it/dett.asp?id=90

2 risposte a “Proviamo a dirci qualche verità sulla scuola…”

  1. Che dire?
    E’ bello leggere – scritto in “bella copia” – ciò che è stato ed è un mio costante pensiero: essere uno studioso – anche appassionato – di una materia o di un corpo di materie non ne fa automaticamente un “insegnante” (scolastico, ma anche universitario aggiungo) se non, in qualche raro caso, per pura fortuna.
    Quante volte, pur incontrando una alta competenza tecnica in una disciplina (ed era già una fortuna!), siamo rimasti delusi dalla totale incapacità di insegnarla?
    Incapacità di comunicazione, di rappresentazione, di esposizione, di gestione dell’attenzione e dei suoi (ormai ben noti) tempi, incapacità di metodo (esercitato ed insegnato), incapacità educative.
    E lo stesso dicasi per gli altri ruoli tecnici e manageriali della scuola (e dell’università, “magnifici” rettori compresi).
    E’ proprio così: nella formazione così come in molti altri settori, ciascuno viene “promosso” al proprio grado di incompetenza, a cominciare dalle massime cariche governative (scuola, università e ricerca; salute… e così via!).
    Estremizzando per assurdo (ma tanto estremo ed assurdo non è) ho sempre sostenuto che avrei preferito incontrare docenti composti da un 60% di competenza nella specifica materia di insegnamento ed un 40% di capacità di insegnarla, piuttosto che trovarmi davanti un 100% di competenza specifica e lo ZERO ASSOLUTO di capacità di comunicazione.

  2. Per amor del vero, bisogna precisare e ricordare che non tutti gli insegnanti sono stati reclutati con procedure così scadenti. Permettetemi di riportare all’attenzione la preziosa esperienza dei corsi biennali abilitanti all’insegnamento SISS e COBASLID,(…) si superava una dura selezione in ingresso degna di un concorso a cattedra, (…) Detto ciò bisogna chiedersi come mai sia finita questa modalità (…) Tale modo di agire non può che provocare un contenzioso inevitabile e dispendioso, spesso sempre a danno degli alunni e dei lavoratori della scuola.
    Ciò che però non mi spiego è l’autolesionismo di chi lavora nelle scuole italiane che pur conoscendo e riconoscendo le importanti responsabilità del legislatore e della politica italiana incapace di gestire le risorse e le istituzioni, ignorante, prepotente e presuntuosa, pronta a scaricare sempre le responsabilità sul più debole, cade nel tranello della ripetizione e diffusione della propaganda; (…) mi fa venire i brividi è l’eccessivo zelo di alcuni dirigenti scolastici nel fare propria la missione ossessiva dell’amministrazione di “razionalizzare” l’utilizzo delle risorse, (…) davanti a scelte simili di competenza dei dirigenti degli Ambiti territoriali, degli Uffici scolastici regionali, del ministro e del Consiglio dei ministri non può che essere utile l’apporto dei sindacati e della contrattazione a tutti i livelli. Davanti ad una Scuola dove bisogna dare più poteri al preside manager (eticamente forgiato e plasmato ad immagine e somiglianza del signor Brunetta e dell’amica Aprea) ed al consiglio d’istituto (caratterizzato da una considerevole presenza di genitori ed alunni facilmente influenzabili dalla dirigenza) e meno al collegio dei docenti, non può che manifestarsi un abbassamento qualitativo dell’istruzione e dell’offerta didattica in generale.
    Per finire non penso proprio che ci siano processi virtuosi in atto, al contrario;
    il nuovo sistema di reclutamento annunciato dal ministro senza laurea prevede un percorso che aggiunge ulteriore risparmio per l’amministrazione; docenti sfruttati per tre anni con paghette da adolescente!
    Governance (tanto per citare una delle parole maggiormente utilizzate nel lessico politico contemporaneo) della scuola stranamente sempre più verticistica che inibisce la partecipazione di tutti i docenti del collegio, spesso ridotti alla passiva ratificazione delle decisioni del dirigente e del consiglio d’istituto.
    Stipendi fermi da 10 anni e introduzione di bonus premiali che premiano con quattro denari i servi utili all’amministrazione, quelli che garantiscono il sistema verticistico!
    Trasformazione del sistema d’istruzione in sistema di formazione…,
    Accorpamenti selvaggi delle istituzioni scolastiche e moltiplicazione delle reggenze che si traduce in collegi con centinaia di insegnanti… e dirigenti assenti.
    Insegnanti sempre più vecchi che inseguono, spesso senza riuscirvi, la pensione.
    Classi pollaio e strutture scolastiche inadeguate.
    Scarso impegno nei riguardi delle famiglie socialmente svantaggiate, sussidi quasi inesistenti.

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