Lo spreco all’italiana

Se volete comprendere l’immensità faraonica dello sperpero di denaro pubblico in Italia, se volete provare la sensazione fisica della spaventevole enormità delle ruberie che hanno spolpato il Paese, dovete recarvi all’estero. A me è capitato fin da ragazzo di andare fuori dai confini nazionali ed ho perciò sempre percepito con vergogna e un terrificante senso di impotenza questa abnorme differenza che esiste fra noi e gli altri, tutti gli altri.

Non si può negare che anche altrove esistano l’appropriazione indebita, l’abuso di potere, la corruzione e tutti i mali dell’avidità di questa contemporaneità che ha fatto franare ogni riferimento ed ogni argine e dunque anche per i suoi mali ha creato le condizioni per un dilagare senza confini, verso esiti inauditi ed impensabili appena tre decenni fa. Ma la differenza fra noi e gli altri, tutti gli altri, si vede, si sente, si tocca.
Il fatto è che laddove si realizzi un’opera pubblica, magari anche ambiziosa e dispendiosa, si ottengono e si costruiscono cose grandi, importanti, efficienti, funzionanti soprattutto. Grandi vie di comunicazione, ponti avveniristici, edifici mirabolanti, quartieri interi che parlano di un futuro possibile e scrivono il progresso di una città nata nell’antichità. Da noi esiste una ridicola abitudine ai grandi progetti che producono comitati di sanguisughe che campano da nababbi una vita intera per far finta di sapere che cosa si dovrebbe fare, vedi la risibile storia del ponte di Messina, vanagloriosamente spacciato per decenni come la più importante opera del mondo e sempre fermo allo stadio di topolino maleodorante e pericoloso per la salute.
Senza alcun senso delle proporzioni, il popolo italiano è stato spremuto da deliranti quote di tassazione per costituire capitali degni degli sceicchi con i quali poi si avviano procedure di spesa il cui unico risultato, dopo l’azione dei piranha del sottobosco politico, è l’erezione di un moncone di cemento malato, uno spezzone di bretella che ricorda l’ambizione perduta di una strada, un triste feretro di venti piani presto ridotto a scheletro disossato dall’ingordigia dei vandali e dei ladri di passo, insomma un infinito repertorio di bubboni, pustole fetide, squarci incancreniti, ecco cosa sono e cosa resta degli interventi pubblici sul territorio del più bel paese del mondo. Oltre alla cattiva abitudine alla auto-referenzialità e alla vanagloria.

 

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