La tentazione perenne dello sfascio

Sembra una prerogativa italiana impossibile da estirpare: la tentazione di sfasciare tutto. Per principio. Per rabbia. Per invidia, Per pochezza. Per vigliaccheria. Per comodità. Per interesse sotterraneo. Per ridicola rivalità. 
I sintomi sono ovunque. L’inconcludente conflittualità della classe politica, l’interessata litigiosità dei sindacati, l’opaca lentezza della burocrazia, l’ostinata astrazione delle istituzioni, l’inconfessabile radicamento della corruzione, la delirante diffusione del vandalismo, la perversa confusione della legislazione, la vile resistenza del Paese al cambiamento. Potrei continuare.

All’ennesimo tentativo di rifare da capo una scuola la cui vecchiezza è evidente ma, soprattutto, intollerabile per i giovani che condanniamo a sopportarla, ecco che spuntano non le critiche ma i tentativi di sfascio. Nessuna riforma può nascere perfetta, specie se giunge con un ritardo di 40 anni. Mi pare chiaro che una riforma si abbozza, si istruisce, si applica e negli anni si migliora. Col contributo di tutti, persino dei nuovi governi che se la trovano avviata. Invece da noi si preferisce sempre buttare a mare il lavoro fatto da chi precedeva. Per puro spirito di contraddizione. D’altra parte il bene del paese, cioè quel futuro che solo chiacchieriamo e non agiamo, a chi interessa veramente? 
Alle soglie del varo di una ennesima riforma, gli sciacalli si aggrumano e lanciano le loro “proposte” di puro terrorismo mediatico. Ne è un esempio l’idea di abolire sic et simpliciter la figura del dirigente scolastico. Serpeggia una proposta di legge di iniziativa popolare (con appena centomila firme che nel mondo della scuola sono un’inezia, e considerando l’importanza della scuola in una società civile addirittura meno di un’inezia) che vorrebbe abrogare tale figura. In termini più sinceramente ed onestamente bellicosi, sarebbe come proporre agli ingegneri impegnati nella costruzione di un ponte, di eliminare il pilone centrale con una esplosione controllata. Tutto il castello normativo che ha disegnato l’autonomia scolastica, riconoscendone persino il rango costituzionale con la riforma del Titolo V, crollerebbe di netto. Le scuole tornerebbero ad essere quello che erano mezzo secolo fa. Il tutto sulla base del principio non dimostrato – e anzi diffusamente contraddetto dalla cronaca quotidiana – che tutta la classe docente sarebbe in grado di auto regolarsi. Una auto regolazione che dovrebbe, per inciso, migliorare anche i dati sulle assenze del personale, sugli abusi della legge 104 e tutte quelle storture con cui giornalmente i dirigenti lottano per porre argini. E privi di strumenti perché l’autonomia la si è voluta ma sotterraneamente la si è disinnescata negandole i mezzi.
Che non tutti i dirigenti scolastici siano pienamente capaci di fare il loro lavoro è ovvietà che non merita attenzione speciale rispetto all’ovvietà della non adeguatezza di una fetta del personale docente come di quello amministrativo o dei semplici collaboratori. Considerazione che riguarda anche i sindacalisti, gli avvocati, gli idraulici e tutto il resto del mondo delle categorie lavorative e professionali. 
Il vero problema è quello del controllo della qualità del rendimento lavorativo. Ed è qui che si annidano le ragioni inconfessabili che portano al tentativo di distruzione del castello di riforma che faticosamente il governo sta tentando di rendere concreto. La proposta di un meccanismo elettivo dei dirigenti scolastici, contenuto nella citata LIP, apre le porte ad una libera e meritocratica selezione o piuttosto aprirebbe le porte a meccanismi di selezione orientati e preordinati? Gestiti dall’alto magari da gruppi di potere che nella scuola hanno una storica e consolidata presenza? Non è legittimo il sospetto che si voglia invece recintare l’ennesima riserva di caccia a vantaggio di categorie che nel mondo della scuola hanno una tradizione di interessi elettoralistici?

 

A mio giudizio, è tempo di fare la scelta coraggiosa di dare seguito e coerenza all’opzione autonomistica. Le scuole hanno know how spesso forte e non è raro che le comunità scolastiche raggiungano ottimi livelli in quanto organizzazioni complesse. Parlo di realtà in cui le chiacchiere sul ruolo dirigente e docente non hanno senso, sopraffatte da una logica del fare e del fare bene che tiene insieme onesti e bravi professionisti, con ruoli diversi ma complementari. Per dirla in termini concreti ed esemplari, non è la legge 104 sbagliata, ma il fatto che chi si vergogna di utilizzarla per scavalcare la collega o per lavorare di meno non abbia riconosciuto alcun merito rispetto ai cialtroni che con la complicità della normativa non compiono il loro dovere.
 
su www.loraquotidiano.it, 16 febbraio 2015

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