La buona scuola

L’anno scolastico è stato avviato nel bel mezzo dell’ennesimo vento di riforma. Un vento che se si dovesse classificare in base alla velocità starebbe tra il fortunale e l’uragano per la rapidità con cui soffia e scompare. Ma che se invece cataloghiamo per il comportamento dovremmo definire regolare, tanto costante è nel tempo la presenza di istanze riformiste che di montagne producono topolini.


Non c’è modo di uscire dalla recita a soggetto quando si parla della centralità dell’alunno. Tutti ne hanno parlato ma nessuno è stato capace di affermarla concretamente. La scuola, infatti, persiste nella sua natura di sistema pensato per gli adulti che ci lavorano. Gli alunni sono l’alibi che giustifica gli stipendi. Lo dimostra l’ennesimo sforzo compiuto dal Governo attuale che, nel documento La scuola buona, ha definito primario l’intervento di stabilizzazione dei precari della scuola. Si tratta di un provvedimento di politica del lavoro di grande importanza, ma ancora una volta la scuola viene piegata ai bisogni della politica del lavoro. Si tratta, cioè, di un approccio vecchio che rinforza i meccanismi di vecchiezza della scuola. Per quanto sia vero che i precari stanno già dentro la scuola e che questa ha vuoti di organico da colmare, la questione centrale è il suo riassetto complessivo per vincere la sfida del futuro.

L’inadeguatezza delle performance scolastiche dei nostri alunni, sempre bollate come frutto di superficialità e disimpegno, è in realtà un sentimento di legittima insofferenza verso un sistema inadeguato all’attualità che viviamo.
I precari che verranno sistemati copriranno insegnamenti di vecchia impostazione, con l’unico scopo di mantenere al lavoro gli adulti titolari di cattedre desuete o ridondanti o in sovrannumero. Nella scuola va introdotto un principio di flessibilità che liberi i ragazzi dal peso di alcune ore individualmente non necessarie e nello stesso tempo li responsabilizzi nella definizione del patto formativo mai veramente attuato nelle scuole.
Data l’importanza sociale del provvedimento di stabilizzazione, oggettivamente necessario, non si perda l’occasione per mettere subito mano alle regole con cui sia i precari sia gli altri lavoratori della scuola conducono il proprio lavoro. Si riveda immediatamente il garbuglio di norme e vincoli che disciplinano la mobilità del personale scolastico, rivisitato esclusivamente dal punto di vista delle esigenze del singolo adulto e senza nessuna cautela verso gli studenti.

Quello dei lavoratori della scuola è un esercito di quasi un milione di persone annualmente in agitazione alla ricerca della sede vicino casa, con buona pace del POF, il “fondamentale” Piano dell’Offerta Formativa che costituirebbe la carta di identità di ogni scuola, quella che dovrebbe consentire la competitività del sistema formativo nonché la libertà di scelta delle famiglie su dove far valere il diritto allo studio dei propri figli. Una montagna di chiacchiere senza riscontro concreto. Complici gli oneri del lavoro pubblico dipendente che, quando fuori sede, cioè spesso, non permette al lavoratore neanche di scaricare le spese di carburante per il vai e vieni dalla sede di lavoro. Così ogni scuola è formata non da una squadra, ma da un “raggruppamento temporaneo di disagiati”, ciascuno alla ricerca di una collocazione più comoda e meno onerosa economicamente. Altro che équipe pedagogiche capaci di comprendere e interpretare le specificità di un progetto formativo tipico di un preciso istituto, il cui dirigente abbia individuato le specificità e unicità territoriali in base al concreto contesto socio-economico e culturale e al tessuto relazionale. Ben venga, dunque, l’istanza governativa che nel già citato documento su La scuola buona, afferma che “… ogni scuola dovrà avere vera autonomia, che significa essenzialmente due cose: anzitutto valutazione dei suoi risultati per poter predisporre un piano di miglioramento. E poi la possibilità di schierare la “squadra” con cui giocare la partita dell’istruzione, ossia chiamare a scuola, all’interno di un perimetro territoriale definito e nel rispetto della continuità didattica, i docenti che riterrà più adatti per portare avanti il proprio piano dell’offerta formativa”.
Questa è la centralità vera che punta sulle esigenze degli alunni, la centralità che ci piace e sulla quale auspichiamo con forza che il Governo vada avanti senza cedere né alla difesa di interessi corporativi di parte sindacale, né alle tentazioni demagogiche della vecchia politica.

su www.loraquotidiano.it, 21 ottobre 2014

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