Il morbido e il duro. Viva Palermo e Santa Rosalia

Bella Palermo, che ha saputo regalare un’emozione così intensa a tutti, cittadini, turisti e ospiti d’onore in occasione della sfilata di D&G. Mi aveva piacevolmente sorpreso vedere piazza Pretoria addobbata per l’evento ma soprattutto mi ha stupito osservare come questa piazza sembri essere nata per le sfilate di moda con le sue belle statue nude, seppure portino addosso i segni dell’inciviltà e della barbarie di cui sono capaci i popoli ignoranti (teste e arti mozzati, pezzi perduti per sempre).

La moda e il cinema sono forse gli aspetti della cultura contemporanea che più di altri segnano il nostro tempo. Chiedetevi cosa hanno in comune questi due settori importanti nell’economia ma trainanti dell’immaginario collettivo globalizzato. Non sono i lustrini degli abiti o i tacchi delle scarpe femminili o il nero del quasi universale vestire maschile. Sono due i tratti distintivi: tappeti rossi e transenne. Oggetti che, al di là della loro banale fisicità, rappresentano in termini simbolici una delle opposizioni culturali più longeve nella storia sociale dell’Uomo: soffice e soave da una parte, duro ed estraneo dall’altra.

Osservo le foto dell’evento come di ogni altro analogo evento, della moda come del cinema, e vedo costantemente tappeti rossi, soffici e soavi su cui poggiano piedi i miracolati: i vip protagonisti e i vip invitati. Una autentica classe sociale “riservata”. Farne parte significa appartenere ad uno star o power system. Entrarvi da protagonisti, disegnatori modelle attori registi, significa essere nell’Olimpo universale. Costoro poggiano i loro piedi nei soffici ed accoglienti tappeti rossi, oggi banalmente famosi con la solita espressione anglofona di circostanza “red carpet”.

Tutti gli altri fuori, accalcati oltre le transenne e le barriere che delimitano lo spazio ampio e comodo entro cui passeggiano e si mettono in mostra i divi e il loro corteo di invitati privilegiati. A loro si oppone fisicamente il duro ferro delle barriere che deve marcare la zona di estraneità in cui ciascuno di noi diventa massa indistinta, popolo, informe, incolore, senza identità.

Mi fanno riflettere le foto in cui si coglie lo sguardo assetato di chi sta riverso sulle transenne, così da poter godere per primo della passerella degli “altri”, quelli che contano, quasi anelassero ad un contagio per contatto. Li vedo protendersi col busto sopra la ferma durezza delle barriere per cercare un autografo, un selfie, del tutto incoscienti di quella glaciale e inviolabile barriera di cui non colgono la letale lama che li separa per sempre da ciò che osservano inebetiti. Essi, confermano lo statu quo, non certo i baciati dalla fortuna che per qualche motivo sono stati reclutati nel circo del successo comodo e ricco.

Essi, resistono accalcati come nei treni quando esisteva la terza classe, a grappoli, gli uni sopra gli altri, indifferenti al caldo, al sudore, allo struscio estraneo.

E sono immagini che ancora ripetono ciò che la storia rivela essere una costante: che il popolo resta una entità immatura da tenere a distanza, a cui chiedere forza e consenso quando serve agli scopi di un gruppo ristretto e organizzato, ma sempre da tenere a bada e pascere coi “cincu iorna di lu fistinu” o una qualunque delle tante feste di “cuccagna” che tutti i viceré ci hanno sempre imbandito.

La vita sociale è intessuta di questa dinamica del morbido e del duro, soffici i mantelli e le parrucche del potere, dure le condizioni del popolo, dura la stoffa dei loro abiti. Si può leggere tutta la storia ufficiale alla luce di questa opposizione che racconta come la classe egemone abbia sempre cercato la “morbidezza” come segnale palese della propria condizione di agio e vantaggio. Non è qui che voglio tirare le linee prospettiche di questa analisi culturale. Ciò che qui mi premeva osservare è che la strada da fare per tutti noi educatori è ancora tanta. E intanto, in prossimità della prossima festa, Viva Palermo e viva Santa Rosalia!

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