Il DDL scuola, Laura Pausini ed Eros Ramazzotti

Il DDL scuola di Renzi a me piace. Lo trovo coraggioso ed è concreto, non recitato come in passato, lo sforzo di dare centralità agli studenti senza i quali nessun lavoratore della scuola avrebbe uno stipendio. L’avversione che ha suscitato non va ricercata nelle imperfezioni che pur contiene ma che sono per se stesse aperte a miglioramento. Va piuttosto spiegata con la perdita di situazioni di rendita, quelle che garantiscono posizioni comode, che non mettono in discussione nulla e dunque nulla mutano di questa cosa vecchia che è la scuola italiana e verso la quale i nostri giovani, che non sono né stupidi né meno bravi di noi anziani né svogliati, mostrano da decenni una forte insofferenza.


Una dimostrazione la troviamo nella famosa e continuativa ribellione della categoria alla formazione obbligatoria. Persino Berlinguer si è arreso a questa sotterranea litigiosità che aveva il solo scopo di non costringere i docenti a nulla oltre la libertà costituzionale della libertà di insegnamento. Una forma edulcorata di anarchismo povero e inconcludente. Ma l’errore di Berlinguer come degli altri che ci hanno provato è stato non nelle intenzioni che erano buone, ma nella prospettiva assunta che era la solita, il garantismo individuale degli adulti lavoratori della scuola. La formazione, cioè, era un obbligo dal quale scaturiva il diritto dell’adulto ad un avanzamento di carriera. Da qui scaturiva la protesta, per via di quel meccanismo che non garantiva a tutti col classico sistema della distribuzione a pioggia.
Renzi ha invece pensato ad un obbligo di aggiornamento e formazione che ricade sui docenti come necessaria, ineluttabile, coerente conseguenza della centralità degli alunni. Per il loro bene, infatti, è previsto che i docenti si informino, si aggiornino, frequentino corsi. Ed è per tale insindacabile centralità dei nostri giovani che il Governo fornisce uno strumento che consiste in uno straordinario finanziamento di quasi 400 milioni di euro provenienti dalle tasche dei cittadini, cioè di quella parte che paga le tasse. Per cui non credo sia eticamente e professionalmente sostenibile da parte della categoria docente come delle organizzazioni sindacali che tale obbligo debba essere buttato via con tutta la riforma. Ormai la verità è venuta a galla.

Ma come dicevo la riforma non è perfetta. Nasconde insidie. Perché quando il testo legislativo dispone che ad ogni insegnante sia concesso un bonus di 500 euro annuali per acquisto di libri, computer, software ma anche rappresentazioni teatrali e cinematografiche, ingresso a musei (che stranezza, proprio ora che i docenti entrano gratis finalmente nei musei ecco che arriva il bonus per coprire i costi di ingresso…) e ad altri “eventi culturali in genere” io mi preoccupo che ogni cosa diventi culturale. In Italia i locali notturni per intrattenimento sessuale non pagano le tasse perché giuridicamente registrati come associazioni culturali no profit. Ma è una esagerazione. Più concretamente la mia paura è che le docenti col bonus compreranno il biglietto per il concerto di Laura Pausini o di Eros Ramazzotti e ancora di più temo che al concerto ci manderanno la figlia dalla quale si faranno consegnare la ricevuta per giustificare una spesa di aggiornamento fasulla. Che debbano finire a carico dei contribuenti anche queste spese di dettaglio diffuso, che con questi 400 milioni si debba impinguare il bottino di Laura Pausini o di Eros Ramazzotti (qui scelti a titolo di provocazione solo perché mi piacciono e mi piace come ci rappresentano nel mondo), in un paese dove la magistratura ha accertato che le deputate hanno acquistato slip e reggiseno coi fondi pubblici e i deputati sigarette e gratta e vinci, beh mi fa rabbia e non si può non prevedere che tutto questo immancabilmente accadrà. Altrimenti è già una colpa, questa sì. Perché le docenti e i docenti non sono né più né meno oneste delle presidi e dei presidi che tanto temono. Perché la differenza la fanno le persone e i controlli. Perché tutto il resto è chiacchiera che copre interessi sotterranei. Perché non c’è riforma che possa “diventare” buona senza il contributo di tutti, senza posizioni pregiudiziali.

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