I giovani della classe di mezzo. Un investimento per il futuro

Dovunque si ripete che c’è crisi. Io personalmente lo sento dire dagli anni Settanta, a parte la bolla cialtrona degli Ottanta e della sua ridicola pretesa “rampante”. Ogni tanto arriva qualche segnale confortante di ripresa ma troppo distante dalla vita reale per diventare significativo e diffuso.
Ecco come la vedo io: Leggi tutto “I giovani della classe di mezzo. Un investimento per il futuro”

Agli amici cari dell’infanzia

Agli amici cari dell’infanzia con cui, in quest’epoca, ci rivediamo intorno al dolore della perdita di qualcuno dei nostri genitori.
Il dolore è prova. Fosse diversamente, Cristo non avrebbe abbracciato la Croce come La Via. E questo non significa, come erroneamente talvolta creduto, che la vita sia dolore. Ne è la prova, prova di vita insomma, prova che essa, la vita, è.
Banalmente, la prova del dolore fisico segnala, nel dubbio, il permanere della vita biologica. Così vita e dolore sono legati indissolubilmente. E il dolore che proviamo quando perdiamo qualcuno che amiamo è la prova che quel qualcuno ancora vive, nel nostro dolore appunto ed in esso insiste la forza della sua vita, che invece scompare nella dimenticanza che è, infatti, assenza di dolore.
Della vita, dunque, il dolore è la prova necessaria e ineluttabile. Poiché la vita com-prende il dolore, lo tiene in sé, inverando se stessa per il suo tramite.

La mafia e l’epica

La mafia si nutre di epica. Ne ha bisogno come di una pozione magica. Ne va del suo valore coercitivo, senza  cui la ridicola epopea del coraggio recitato, l’idiota baldanza delle armi, la meschina tutela dell’omertà non avrebbero efficacia né presa sui maledetti vili che si assoggettano senza neanche chiedere aiuto. Ma quel che più mi disturba è il contributo imbelle di chi non dovrebbe, di chi si ritiene dedito ad altro. Ai giornalisti, per esempio, rimprovero l’inadeguata capacità di uso e controllo della lingua. Parlando di mafia, credo si debbano tenere attenzioni elevate già nella scelta del lessico, non si può e non si deve fare ricorso a toni epici parlando di individui del genere dei mafiosi, solitamente ometti di nessuno spessore. Si finisce col contribuire a mantenere una leggenda della mafia che ne alimenta la fortuna culturale, aspetto che la rende quasi invincibile. Purtroppo, fatta eccezione per un manipolo di giornalisti bravissimi e competenti in sommo grado, la massa di quanti fanno cronaca nera è talmente inconsapevole delle conseguenze nefaste di questo improprio linguaggio, incline alla coloritura naif, alle espressioni da film, che ne dovremo vedere ancora delle belle su questo pianeta… prima di dire addio al sentire mafioso che tutti ci riguarda.

Il Parlamento e l’impossibile cambiamento

Quanto spesso si parla di cambiamento in Italia? Molto e per lo più inutilmente o per finta. Non vi è settore in cui non si avverta questa esigenza che pure, una volta concretizzata in preliminare iniziativa legislativa, sempre pare arenarsi davanti alle tante aperte conflittualità (e alle infinite sotterranee) che dividono, quasi su ogni dettaglio, le squadre presenti in Parlamento. La domanda, dunque, diviene per forza di cose la stessa di sempre: cosa succede alle Camere che frena o impedisce ogni cambiamento?

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Del privilegio

L’irreparabile danno causato dal privilegio (e dalla sua sostenuta cultura) non è tanto nell’uso mimetico e lestofante del “diritto” ma nella definitiva perdita del correlativo “dovere” che al diritto sempre si accompagna. come facce di una stessa moneta. La chiamiamo civiltà.

Le Caste

È da riconoscersi che perseguendo, per giusta tensione, l’abolizione dei “processi di piazza”, abbiamo però costruito una tale ragnatela di garanzie che abbiamo dato vita a una civiltà della finzione giuridica che si disinteressa della Verità e stritola ogni possibilità di Giustizia (salvo rare eccezioni). Lo dimostrano le innumerevoli storture che vanno in scena nei nostri tribunali. E credo che un tale stato di cose perdurerà fintanto che nel nostro Parlamento sarà presente questa inutile maggioranza di avvocati e tecnici della legge, meccanismo e non strumento. La civiltà giuridica di un Paese non si costruisce con i tecnicismi legali, troppo spesso collegati a veri interessi di lobby, si costruisce con il confronto e la partecipazione di rappresentanti provenienti dalle diverse aree del Paese, intese come fasce di popolazione, con riguardo cioè alla geografia umana reale di un dato momento storico. Le Caste, negano tutto questo.

L’odore di mafia

Nella mia vita ho offeso alcune persone. Come tutti del resto. Credo. Per quanto, sinceramente, non possa dire di essere un attaccabrighe. Gran parte di questi, infatti, erano persone “in odore di mafia”. Come moltissimi, da noi. Certo, trattandosi di mafia, dovrebbe dirsi “puzza” ma l’espressione è quella: odore di mafia. Si tratta di un alone con cui vengono marchiate persone diversissime: avocati, costruttori, commercianti, etc. E molti che vivono di politica, come si dice di questa categoria divenuta parassita senza idee e con molti appetiti.

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Siamo tutti deficienti

La sentenza di condanna della docente Giusi Valido, che aveva fatto scrivere cento volte “sono deficiente” ad un suo alunno bullo, desta legittime perplessità al di là delle spiegazioni formalmente ineccepibili del giudice. Le posizioni dei sostenitori di una o l’altra delle due posizioni possibili in questa vicenda devono infatti ricordare che se la Legge tende ad essere “esatta” altrettanto è difficile dirsi per l’educazione. Questa è un processo che deve di continuo riformulare persino i propri presupposti in ragione del mutare del panorama culturale come del clima sociale e tenere conto di una molteplicità di valori ed esigenze che di frequente confliggono tra loro. L’educatore, dunque, è sostanzialmente costretto a essere anche un mediatore. Aspetto da cui il giudice estensore della sentenza può prescindere. Si tratta di una differenza importante.

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Statali, raggiunto un accordo Governo-sindacati per la produttività e il merito

I confederati firmano con l’opposizione della cgil. Ragioniamo: quelli che appartengono alla mia generazione, nati nei Sessanta, sanno ancora che esiste una divisione di colore politico tra i sindacati confederati. La lunga e alterna storia dell’unità sindacale dei cosiddetti confederati, cioè le organizzazioni maggioritarie, ha invece prodotto una diffusa sensazione che accomuna le tre note sigle in un’unica e indistinta organizzazione di “ufficiale” tutela dei diritti dei lavoratori. Il risultato, tuttavia, è stato la sovrapposizione di una generale sfiducia nel sindacato reso ancor più anonimo da una divisione, o piuttosto articolazione interna nelle tre storiche sigle, la cui ragione ha finito col coincidere con la generica sfiducia nelle rappresentanze politiche e sindacali, accomunate da un interesse prioritario per il mantenimento dei propri privilegi piuttosto che dall’azione concreta in vantaggio dei propri iscritti. Tutte le rilevazioni di opinione confermano questo sconfortante dato di sfiducia.

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