Olimpiadi per l’Europa unita (testo IT-SP)

Se si trascurano le origini storiche dell’Unione europea che risalgono al Trattato di Roma (25 marzo 1957), la UE nasce nel 1993 (Trattato di Maastricht del 1 novembre). Da allora un percorso lento e faticoso per costruire la dichiarata Unità. Non può non venire in mente la celebre frase attribuita, in tutte le sue varianti, a Massimo d’Azeglio che all’indomani della raggiunta Unità d’Italia, nel 1861, avrebbe detto: “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Dal 1993 a oggi, fatta l’Europa, bisogna fare gli europei. Ma pare che questo proposito non sia prioritario per l’istituzione del Parlamento dell’Unione come invece lo era nelle intenzioni degli uomini chi sacrificarono la vita per costruire l’Italia unita.

Il fatto è che l’Europa non è nata da interessi storici, etici o da valori umani (con buona pace per Altiero Spinelli) . È piuttosto il frutto di esigenze economiche nate agli albori di quei processi sociali, culturali ed economici appunto che hanno portato alla instaurazione del capitalismo finanziario che è molto diverso dal pensiero liberale che lo ha generato perdendone il controllo. In questo clima in cui l’economia detta i limiti delle politiche educative, sanitarie e in generale sociali, non resta grande spazio per un obiettivo umano e solidale come quello di “fare gli europei”.

Ciò che resiste opponendosi sotterraneamente alla creazione di una Europa unita è ciò che si ostina a sopravvivere del vecchio concetto di nazionalismo ancora legato alla forma Stato che accusa ormai da tempo i suoi limiti (vedi i vari Foucalt, Deleuze, etc.). Lo Stato moderno nasce come forma di organizzazione politico-amministrativa innovativa in un arco temporale che scolasticamente possiamo racchiudere tra i secc. XV e XVII. Senza dimenticare il contributo della Rivoluzione francese per il periodo immediatamente successivo e che giunge fino ai nostri giorni senza soluzione di continuità.

Tuttavia, l’ultimo quarto del secolo XX ha covato e generato l’era della globalizzazione, quel nuovo tipo di modernità che Bauman definisce “liquida” per dare conto della definitiva perdita dei riferimenti certi che erano il fondamento della vecchia nozione di Stato moderno a cui prima ci riferivamo. La domanda attuale quindi è: che senso ha il nazionalismo oggi? Lascio ad altri esperti le risposte di vario orientamento che circolano sul tema, ma apro una parentesi ribadendo che basta leggere i giornali per capire che tutti i rigurgiti di nazionalismo che vediamo nel mondo ci stanno precipitando in una nuova barbarie che fa risorgere la paura di una terza guerra mondiale.

Questo scenario di autentico orrore è continuamente evocato da esperti, politici e operatori della comunicazione sociale. Eppure non basta a porre limiti severi alle azioni di rivendicazione nazionalista ancora vincolati a pregiudizi ideologici vuoi fondati su dottrine politiche come su credi religiosi. Siamo nel Terzo Millennio, ma pare che una diffusa e comune natura troglodita ci impedisca di evolverci.

Tornando dentro i confini domestici dell’Europa a cui appartengo per nascita e al suggerimento che umilmente vorrei qui proporre, mi sovviene una considerazione semplice ma chissà che non possa risultare efficace per spronare la gestazione di un cambio generale di mentalità. Dentro questo panorama così conflittuale e mai veramente trasparente, vi è un fenomeno socio-culturale che unisce tutti in un ardore giovanilistico e goliardico: la storia dei Giochi Olimpici. È davvero raro incontrare qualcuno che non provi un sentimento almeno di simpatia per lo spirito di questa manifestazione. Sarà perché nella prestazione atletica seppure di altri recuperiamo incoscientemente un desiderio di gioventù o perché quando un nostro connazionale vince una competizione ci conferisce un senso familiare di gioia, come se ci sentissimo parenti con l’atleta vincitore.

Faccio una breve digressione perché diverso, a mio giudizio, è il caso dei Mondiali di calcio, lo sport più seguito del pianeta, dove con più evidenza si manifesta il lato negativo del nazionalismo se si pensa alla veemenza con cui i compatrioti della squadra campione del mondo inveiscono contro gli avversari durante le eliminatorie e la finale. Gli esempi deplorevoli in tal senso non mancano. E in attesa che gli interessi individualistici e nazionalisti trovino l’impossibile quadra per tracciare un percorso comune di tutti i membri dell’UE in tema di politica fiscale, difesa, politica estera, etc. perché non sperimentare con le Olimpiadi, dove ancora circola qualcosa dell’antico spirito, un sentimento concreto di Unità europea?

Facciamo qualche esempio. Per brevità riferiamoci al medagliere degli ori conquistati a Tokio 2020 dai vari partecipanti: USA 39, Cina 38, Giappone 27, Gran Bretagna 22, ROC (cioè la Russia senza nome per via delle sanzioni internazionali) 20, Australia 17, etc. I primi paesi europei in questa classifica sono Italia, Germania, Francia e Paesi Bassi, ciascuno con 10 ori. Già qui si vede come l’Europa conquisterebbe il primo posto con 40 medaglie d’oro. Ma se contiamo il contributo di ogni singola medaglia ottenuta da ciascuno degli attuali 27 Stati membri: Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Estonia, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia, Finlandia e Svezia, il risultato che otteniamo è 85.

Ora, se è vero che il meccanismo di iscrizione degli atleti prevede un limite di due per ogni specialità  (fa eccezione il paese ospitante che può contare invece su tre atleti ), è pur vero che i numeri esprimono comunque una capacità  dell’Unione europea che resta inespressa proprio per incapacità  di unione. È una specie di sintomo positivo. Senza necessità di operare nessun cambiamento di regole o chiedere nuovi finanziamenti, perché non dare vita a forme di semplice festeggiamento comune che celebrino il risultato olimpico di tutta l’Europa? Mi spiego meglio.

I campioni olimpici vengono ricevuti ovunque dai loro rispettivi capi di Stato in occasione di manifestazioni in cui si celebrano i risultati delle gare più antiche del mondo. Non sarebbe più vantaggioso, per i fini che ho cercato di illustrare, convocare a Bruxelles tutti gli atleti europei che hanno conquistato un oro, un argento o un bronzo? Una grande e unica festa nella quale si sperimenti la fratellanza europea per qualcosa che non dipende dalle decisioni economiche né dalle crisi finanziarie. Ma sarebbe una decisione politica.

Le prossime olimpiadi si svolgeranno a Parigi, lì dove è risorta la nuova era dei giochi nati in epoca classica. Potrebbe essere simbolicamente il luogo e il tempo per la fondazione di un nuovo sentimento di unione che facesse perno sui valori sani dello sport olimpico, ben diversi da quelli professionistici. Perché non approfittarne e dare inizio a una nuova tradizione che celebri in un unico luogo e in un medesimo momento tutti gli atleti europei reduci con una medaglia dai giochi olimpici? Magari, da questo bella festa nascerà  un nuovo e vero spirito unitario.

Juegos Olímpicos por una Europa unida

Si ignoramos los orígenes históricos de la Unión Europea que se remontan al Tratado de Roma (25 de marzo de 1957), la UE nació en 1993 (Tratado de Maastricht del 1 de noviembre). Desde entonces se ha recorrido un camino lento y fatigoso para construir la Unidad declarada. No se puede dejar de pensar en la famosa frase atribuida, en todas sus variantes, a Massimo d’Azeglio quien, al día siguiente de lograr la unificación de Italia en 1861, dijo: “Una vez hecha Italia, hay que hacer a los italianos”. Desde 1993 hasta hoy, entonces: una vez creada Europa, hay que crear a los europeos. Pero parece que este propósito no es una prioridad para la institución del Parlamento de la Unión como lo era en las intenciones de los hombres que sacrificaron sus vidas para construir una Italia unida.

El caso es que Europa no nació de intereses históricos, éticos o de valores humanos (con el debido respeto a Altiero Spinelli). Es más bien el fruto de necesidades económicas nacidas en los albores de aquellos procesos sociales, culturales y económicos que llevaron al establecimiento del capitalismo financiero, que es muy diferente del pensamiento liberal que lo generó y perdió el control sobre él. En este clima en el que la economía marca los límites de las políticas educativas, sanitarias y sociales en general, no queda mucho espacio para un objetivo humano y solidario como el de “convertirnos en europeos”.

Lo que resiste oponiéndose secretamente a la creación de una Europa unida es lo que persiste en sobrevivir del viejo concepto de nacionalismo todavía ligado a la forma de Estado que desde hace tiempo experimenta sus límites (véanse los diversos Foucalts, Deleuzes, etc.). El Estado moderno nació como una forma de organización político-administrativa innovadora en un lapso de tiempo que escolásticamente podemos incluir entre los siglos. XV y XVII. Sin olvidar la aportación de la Revolución Francesa para el período inmediatamente posterior y que continúa hasta nuestros días sin interrupción.

Sin embargo, el último cuarto del siglo XX fraguó y generó la era de la globalización, ese nuevo tipo de modernidad que Bauman define como “líquida” para dar cuenta de la pérdida definitiva de ciertos referentes que fundamentaban la vieja noción de Estado moderno al que nos referíamos antes. Por tanto, la pregunta actual es: ¿qué significado tiene hoy el nacionalismo? Dejo a otros expertos las respuestas de las diversas orientaciones que circulan sobre el tema, pero abro un paréntesis reiterando que basta leer los periódicos para comprender que todos los resurgimientos del nacionalismo que vemos en el mundo nos están hundiendo en una nueva barbarie que revive el miedo a una tercera guerra mundial.

Este escenario de auténtico horror es evocado continuamente por expertos, políticos y operadores de comunicación social. Sin embargo, no basta con imponer límites severos a las acciones de demandas nacionalistas todavía ligadas a prejuicios ideológicos basados ​​en doctrinas políticas o en creencias religiosas. Estamos en el Tercer Milenio, pero parece que una naturaleza troglodita común y extendida nos impide evolucionar.

Volviendo a los confines internos de la Europa a la que pertenezco por nacimiento y a la sugerencia que humildemente propondría aquí, me viene a la mente una simple consideración que, pero – quién sabe – puede que resulte eficaz para estimular la gestación de un cambio general de mentalidad. En este panorama tan conflictivo y nunca verdaderamente transparente, hay un fenómeno sociocultural que une a todos en un ardor juvenil y lúdico: la historia de los Juegos Olímpicos. Es realmente raro encontrar a alguien que no sienta al menos un sentimiento de simpatía por el espíritu de este evento. Puede ser porque en el rendimiento deportivo de otros recuperamos inconscientemente un deseo de juventud o porque cuando uno de nuestros compatriotas gana una competición nos produce una sensación familiar de alegría, como si nos sintiéramos relacionados con el deportista ganador.

Hago una breve digresión porque, a mi juicio, es distinto el caso del Mundial de Fútbol, ​​el deporte más seguido del planeta, donde el lado negativo del nacionalismo se manifiesta más claramente si se piensa en la vehemencia con la que los compatriotas de el equipo campeón del mundo se enfrentan a sus oponentes durante las preliminares y la final. No faltan ejemplos deplorables en este sentido. Y a la espera de que los intereses individualistas y nacionalistas encuentren la casilla imposible para trazar un camino común para todos los miembros de la UE en materia de política fiscal, defensa, política exterior, etc. ¿Por qué no experimentar con los Juegos Olímpicos, donde todavía circula algo del espíritu antiguo, un sentimiento concreto de unidad europea?

Pongamos algunos ejemplos. Para abreviar, remitamos al medallero de medallas de oro ganadas en Tokio 2020 por los distintos participantes: EE. UU. 39, China 38, Japón 27, Gran Bretaña 22, ROC (es decir, Rusia sin nombre debido a sanciones internacionales) 20, Australia 17 , etc. Los primeros países europeos en este ranking son Italia, Alemania, Francia y Países Bajos, cada uno con 10 de oro. Ya aquí podemos ver cómo Europa se colocaría al primer puesto con 40 medallas de oro. Pero si contamos la contribución de cada medalla obtenida por cada uno de los 27 Estados miembros actuales: Bélgica, Bulgaria, República Checa, Dinamarca, Alemania, Estonia, Irlanda, Grecia, España, Francia, Croacia, Italia, Chipre, Letonia, Lituania. , Luxemburgo, Hungría, Malta, Países Bajos, Austria, Polonia, Portugal, Rumanía, Eslovenia, Eslovaquia, Finlandia y Suecia, el resultado que obtenemos es 85.

Ahora bien, si es cierto que el mecanismo de inscripción de atletas prevé un límite de dos por cada especialidad (a excepción del país anfitrión que puede contar con tres atletas), también es cierto que los números aún expresan una capacidad del Unión Europea, que permanece inexpresada precisamente por su incapacidad de unirse. Es un síntoma positivo, por decirlo así. Sin necesidad de hacer ningún cambio en las reglas o pedir nueva financiación, ¿por qué no crear formas de celebración común sencilla que celebren el resultado olímpico en toda Europa? Lo explicaré mejor.

Los campeones olímpicos son recibidos en todas partes por sus respectivos jefes de Estado con motivo de actos que celebran los resultados de las competiciones más antiguas del mundo. ¿No sería más ventajoso, para los fines que he tratado de ilustrar, convocar a Bruselas a todos los atletas europeos que han ganado un oro, una plata o un bronce? Una gran y única celebración en la que se vive la hermandad europea por algo que no depende de decisiones económicas ni de crisis financieras. Pero sería una medida política.

Los próximos Juegos Olímpicos tendrán lugar en París, donde ha resucitado la nueva era de los juegos nacidos en la era clásica. Podría ser simbólicamente el lugar y el momento para la fundación de un nuevo sentimiento de unión que haga hincapié sobre los valores saludables del deporte olímpico, muy diferentes de los profesionales. ¿Por qué no aprovecharlo y empezar una nueva tradición que celebre en un solo lugar y al mismo tiempo a todos los deportistas europeos que regresan de los Juegos Olímpicos con una medalla? Quizás de esta hermosa celebración nazca un nuevo y verdadero espíritu de unidad.

Il secolo delle solitudini

(16 nov 2022)

Siamo stati educati a pensare alla nostra storia come un cammino di progresso. La scuola, ovunque nel mondo, è l’istituzione che si è fatta carico di farci interiorizzare un modello mentale per cui se pensiamo all’Uomo, pensiamo ad una crescita che passa per tappe del progresso tecnologico (età della pietra, del bronzo, del ferro, etc.). Evoluzione e progresso, però, non sono sinonimi. L’età moderna ha posto l’accento sul progresso scientifico. Quella contemporanea su quello tecnologico. Per l’Evoluzione, dovremmo fare un discorso a parte.

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“Mujeres que no amaban a los hombres”

Testo in spagnolo e in italiano

Stieg Larsson nos ha dicho solo la mitad de una antigua verdad. Y la sociedad contemporánea hace tiempo que tomó el camino equivocado en la gestión de su equilibrio y la necesidad de renovarlo. Las políticas de igualdad de género son, en este sentido, síntoma de una incapacidad sustancial para captar el auténtico valor de la persona más allá de las diferencias y la difusión y aceptación de lo “políticamente correcto” es la muerte del sentido crítico necesario para buscar la armonía.

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Cuanto vale una vida

Texto en español – Testo in italiano

Se dice que los justos mueren mientras duermen. Es una idea que relaciona la calidad de vida con la calidad de la muerte. Ambas cualidades definen al hombre justo. Y la justicia es uno de los valores más profundos y necesarios de la vida social.

Este nodo conceptual que vincula la vida, la muerte y la justicia es el espacio filosófico y jurídico donde se juega el juego de la civilización de las sociedades modernas. Tanto la vida como la muerte, en efecto, plantean problemas éticos relativos al derecho a crear y a extinguir la vida. La fecundación in vitro y la eutanasia son los ejemplos más explícitos de una pregunta que nace con el hombre: ¿quién soy yo? ¿Nacemos por casualidad o por un acto de voluntad? ¿Morimos por el destino o por un acto de voluntad? y aquí comprendemos de dónde viene la pregunta fundamental “¿quién soy yo?”. Desde el descubrimiento del Otro.

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La revolución marginal

testo in spagnolo e in italiano

Estar en el lugar correcto en el momento correcto. Me pasa a mí, un tibio hincha de fútbol, que estoy viviendo hace un rato en Buenos Aires mientras el mundo se detiene a seguir los
tejemanejes de los equipos de fútbol que enarbolan las distintas banderas del nacionalismo. Aparentemente una celebración de colores y valores, tan ensordecedora que nadie piensa en los escándalos de la FIFA ni en el enésimo conflicto que ensangrienta al Viejo Continente, y mucho menos en las guerrillas armadas que caracterizan la calidad de vida de innumerables personas de al menos tres continentes.

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La cantonata di Macron e una proposta a costo zero

Le ideologie sono morte. Per fortuna, perché ciò che fa una ideologia è rendere ciechi rispetto alla realtà viva. Ogni ideologia tenta di piegare la realtà ai propri principi, forza gli esseri umani a coincidere con un modello teorico per auto giustificarsi. Il post modernismo non è privo di principi a causa della morte delle ideologie, lo è per una forma di individualismo esacerbato che appare funzionale a certe dinamiche politiche e sopratutto economiche per contenere le quali non esistono più gli argini un tempo affidati al pensiero critico diffuso. La cultura di massa ha quasi estinto gli antidoti democratici contro le prepotenze del potere.

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Dove si nasconde la gioia? Donde se esconde la alegría

23 ottobre 2022, il Boca vince il campionato nazionale e lo fa in un caos di emozioni che rendono incerta la vittoria fino all’ultimo momento, dovendo sperare che il suo acerrimo nemico, il River Plate, possa a sua volta vincere contro il Racing che si trova a un solo punto dalla squadra più rappresentativa dell’Argentina.

Terminata la partita e il primo effluvio di commenti su televisione e social, l’entusiasmo porta la gente in strada. Mi trovo a Mar del Plata, a 400 kilometri dalla capitale ma sembra di stare alla Boca. Per un apparente paradosso le persone si riuniscono nella piazza al cui centro campeggia la statua del generale San Martin. In un angolo, più discreto e come osservando il Padre della Patria, un mezzo busto di un altro generale, il pluri Presidente Domingo Peron.

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Il bambino che volò via

A volte succede che gli anni che ti porti addosso ti offrano dei ricordi, per moto proprio.

La prima volta che incontrai la morte, non la riconobbi. Avrò avuto quattro o cinque anni, mia madre teneva per mano me e mio fratello e ci stava accompagnando a scuola. Ricordo la sua voce gentile e lieta che ci cullava durante il tragitto vincendo gli ultimi scampoli di sonno che ci eravamo portati sulle palpebre. Avevamo attraversato la piazza davanti casa e serpeggiato tra le auto di un parcheggio che occupava lo spiazzo Franco Restivo e ci immetteva in via Empedocle Restivo, a Palermo.

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El duelo inevitable entre conciencia y burocracia

(testo in spagnolo e italiano)

Pandemia. Lo he dicho así que ya se debería haber entendido que el contexto de esta reflexión es lo que le ha estado sucediendo al mundo globalizado en los últimos años (a estas alturas podemos usar el plural y declarar extinta la esperanza del fenómeno “efímero”).

Horkheimer tenía razón, somos la epifanía de su profecía y vivimos en la era de sociedades plenamente administradas. Vida y salud incluidas. Los gobiernos deciden quién debe salvarse primero y lo hacen según esquemas mentales que corresponden a las jerarquías responsables de la gestión de las instituciones. Si los dinosaurios de un mundo en crisis están gobernando, los primeros en salvarse deben ser los dinosaurios. La estrategia no es colectiva, sino jerárquica. La retrospectiva nos hace comprender que la crisis económica y social, así como la psicológica y antropológica, habría sido menor si las prioridades se hubieran revertido y hubiéramos comenzado a salvaguardar la parte más joven, fuerte y móvil del país, como lo habría hecho una comunidad tradicional en la que las instituciones y su lenguaje, la burocracia, aún no habían ocupado el lugar de las personas. No me extraña que la variante delta del virus, a día de hoy, sea mucho más agresiva y que este riesgo, previsible, lo hayamos dejado a los más jóvenes después de habernos asegurado la vacuna a nosotros adultos, ancianos, viejos, muy viejos y dinosaurios.

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