Santuzza bedda pènsaci tu…

Torna sempre il tempo delle elezioni… persino da lontano se ne ode l’eco. Facebook rimbalza toni aspri e melliflui, opinioni di chi si sente ancora in grado di votare con sicurezza, chi si ritiene offeso, chi loda la democrazia rappresentativa e chi rappresenta lo sfacelo della sua natura. Niente è più indicativo di un paese del clima in cui avvengono le sue elezioni. Da noi, ovunque, regna sovrana la confusione.  A me, giusto per non avvilirmi più di tanto, è tornata in mente una lettera che scrissi tempo fa su un blog cittadino chiedendo l’intercessione della sola presenza costante e animata di buone intenzione che Palermo, una città che non si è fatto mancare nemmeno i sindaci mafiosi, abbia mai avuto: la Santuzza Bedda.

Santuzza e ciuri di biddizza,

torna il tempo di rifare il coro dei curati, quelli che per i prossimi quattro anni dovranno prendersi cura della città che ti è devota. Mamma mia quanti sono, quanti siamo! Tanti che se ci mettessimo a girare con scopa e paletta invece che armati di volantini da sparpagliare per i marciapiedi, avremmo già ripulito la città che di nuovo si ammorba dell’ennesima protesta di quelli che se ne vanno a zonzo con un giubbino con su scritto AMIA e che nessuno più ha cuore di chiamare lavoratori. E non per esercizio di ironia, piuttosto per antica e triste consuetudine all’osservazione.

Tu che tutto vedi e di lassù ci proteggi, procura di vigilare, oggi più che mai. Salva questa piangente città dai sui malanni, dal suo affanno, dall’aura funesta che la sovrasta e la opprime, che le toglie il respiro della gioventù, ansiosa di scappare altrove o dimessa al punto di credere, nel delirio febbricitante, che qui si trovi l’ombelico del mondo. Per farlo, però, non ti chiedo miracoli, a quelli siamo avvezzi al punto che tutto pare debba dipendere dal sovrumano, dall’imperscrutabile cielo. Spargi piuttosto quel sale che si vuole segno e barlume di intelletto, stura le menti dalla nebbia della ragione, concedi il desiderio del riposo ai veterani che del nostro sfacelo, nella migliore delle ipotesi, sono stati inconcludenti condomini, quando non inoperosi o addirittura artefici; lascia che l’ardore giovanile confluisca nel rigoglio del pollone che si affianca e sostituisce al ceppo ormai malato producendo da una stessa trama di radici un nuovo ed insperato futuro.

Non è tutto, perché il malanno più insidioso che alla tua divina provvidenza vorrei raccomandare, è quell’anemico snobismo che ci fa pretendere che tutto funzioni, che ci fa stare immobili ad attendere quasi ci fosse dovuta ogni cosa, che ci fa credere nobili al punto di non sporcarci mai le mani, che ci fa preferire il dire al fare, il giudicare al partecipare, il vanto all’impegno. A questo, Rosa bedda amurusa, devi pensarci tu, ch’è danno fuori dalla nostra portata. Al resto provvediamo da noi.

Santuzza bedda, volino in cielo le mia parole e giungano al tuo roseo cospetto vibranti della devozione del cuore di Palermo, città un tempo Felicissima ed oggi succube dell’incuria e dell’abbandono.

Per la verità aggiungo una postilla: l’attuale amministrazione ha fatto passi avanti nella cura del decoro cittadino, gliene do merito e plaudo alla forza con cui il Sindaco ha insistito su punti fermi come le aree pedonali. A volte chi decide, deve sapere non ascoltare le lagnanze di quella umanità fatta di gruppi e gruppuscoli che sempre cercano, oltre l’apparenza, un bieco interessa travestito da rivendicazione. Torniamo al principio secondo cui tra un diritto individuale ed uno collettivo, il primo soccombe (se è vero interesse pubblico).